Non fu nulla la prima notte, ma nemmeno quella dopo e le altre ancora. E non che mancassimo di attenzioni e di tentazioni nel trascorrere delle ore e degli alberghi. Fatta salva la stanchezza per il viaggio, con tutte le inespressive, logore faccende da disbrigare (dove mangiare, a che ora ci parte il volo, quanto abbiamo in portafoglio, serve uno spazzolino nuovo, etc.), Carla non tralasciava affatto cura e attenzioni minuziose nell'acconciarsi, da apparire sovente d'inaspettata sensualità. Scendeva per colazione in eleganza serale di gonna scura aderente e stivale, la vidi girare per le strade più affollate in shorts di jeans tiratissimi da non contenere, al solo accenno di doversi piegare, per intero il sedere. Ci trovammo in bar e minimarket, a discutere insieme agli avventori conosciuti sul posto, con lei in camicetta bianca sottile annodata all'altezza dell'ombelico, con le mani affilate che gesticolavano sopra i polsini rigidi, e l'irregolare ampia scollatura sul petto fino a lambirle i seni per le prime due asole lasciate sbottonate.
Provai a spiegarmi quelle provocazioni come frutto del viaggio e della lontananza. Una divagazione aperta sui freddi costrutti di vite troppo provinciali. Dalla frontiera del proprio mondo ordinario in poi, poteva ricostruirsi liberamente una nuova immagine di sè senza impigliarsi nella rete vischiosa delle vecchie conoscenze. Sembrare porca e non renderne conto a nessuno. Sentirsi sporca ma senza nasconderlo sotto il tappeto.
Così del nostro viaggio di nozze in Canada ricordo la voglia negata di sesso, gli ammiccamenti diurni di mia moglie tranne quelli più ovvi in camera. Tanto non feci che di lì a poco arrivai in preda allo sconforto di un'amara disillusione, a masturbarmi in bagno prima di andare a dormire. E pure quando alla rassegnazione cominciava a prendere il posto la consolazione di avere una moglie "bianca", al riparo da puerili imprevisti, una sera Carla mi avvisò - testuali parole - che "non poteva indossare le mutandine".
Questo amore è un gelato al veleno: questa strofa, da sola, occupava allora la mia mente. Cos'altro? Provai un brivido, paura di cadere e di non trovare parole sufficientemente forti da farne capitolare le intenzioni. E così avvenne.
La semplice perversione mi venne allora venduta come forza delle circostanze. Quella gonna era fatta per essere indossata senza le mutande, per un'esigenza di moda, per un fatto di etichetta, per una questione di prezzo (visto anche quanto l'aveva pagata). Facendo leva su tali argomenti, che poi erano la mia inettitudine, si aggiudicò in questo modo il suo primo desiderio di spregiudicatezza. Il secondo che mi fece in regalo come ricompensa alla mia accondiscendenza, era di andarcene a cena in un locale di Niagara che lei stessa avrebbe prenotato.
martedì 16 settembre 2008
martedì 9 settembre 2008
Una domenica diversa
Una domenica di foglie gialle con il sole d'autunno, romantici baci casti in color seppia, le risate con gli amici, fontane di petali di rose sopra un sagrato e frattali di luci cangianti spioventi da ogni angolo di cielo e dalle vetrate. Anche questo è l'album del nostro matrimonio. Ma ancora oggi sarebbe disonensto fissarsi sulle pose o sui lustrini ricercati dal fotografo. Questo era il giorno in cui sposai Carla.
Il nostro matrimonio fu in chiesa. E fu il raccolto, la mietitura della vera festa e dei nostri sogni di allora, che minuti e borghesi quali erano, stavano invero nei preparativi. Ci servimmo della fede come a teatro si spostano i pannelli dei fondali. La croce, l'alleluja, il sacramento sfilarono come nel giorno di Carnevale. Io detestavo Dio, lei utilizzò la religione come guepiere e rossetto. Il "Si, credo" che ci fecero pronunciare fu il prezzo che pagammo alla Chiesa per celebrare il rito davanti ai parenti.
Del resto gli invitati, specie i più stretti, ci ripagarono di gratitudine e risconoscenza. Dall'uscita in poi fu la solita pioggia entusiastica di eloqui premurosi, tipo: "complimenti, organizzazione impeccabile", "stai bene in elegante", " Dove l'avete trovato il castello?", "carino il métre", "e poi dove andate?".
Fin qui tutto bene; ma sebbene col tempo venissi blandito da ricordi ben più sgradevoli, ancora oggi mi trovo a scacciare da quelle facezie senza senso una visione, un concepimento, la prima mattonella dei fatti che in seguito si sarebbero affacciati espliciti alla nostra vita di coppia. Perchè io allora, accettai la cerimonia cattolica senza obiettare? Io che non ne potevo apparire solo indifferente, compiaciuto com'ero di contrastarne pubblicamente i principi. Io che ho sempre tenuto al mio ateismo senza sensi di colpa, perchè adesso - facendomi del male - offrivo ai miei cari l'oppurtunità di esprimere in volto stupore e ravvedersi?
Finsi di farle un dono, e lasciai sfumare la mia volontà per far posto alla sua, senza sollevare questioni. Lo feci con l'intenzione di poter vantare qualcosa in cambio, per avere lei, per Carla. Che di buona famiglia quale era scacciava, con la sua aria di meticolosa ambizione, i miei timori ricorrenti di trovarmi un giorno al fianco di 'una poco di buono', di essere svergognato e deriso dai conoscenti, con la paura di fondo di perderla. Invece di agire e coccolarla e di sedurla, mi limitavo a riporle tra le braccia il fardello pesante della mia fiducia. Sentendomi perciò in credito della mia innata onestà, continuavo ad aspettarmi che la trattasse, solo per questo, con il maggiore decoro e riguardo. Mi rendo conto di avere avuto sin da allora più aspettative che intraprendenza e che questo prima di iniziare significa perdere.
Così, alla luce delle corna che portai in seguito, rivedo la nostra bianca notte di nozze, quando braccato tra una matta voglia di averla nuda ed il desiderio di non apparire noioso e puerile, abbracciandomi teneramente, lei in vestaglia corta mi sussurrò di dormire.
Il nostro matrimonio fu in chiesa. E fu il raccolto, la mietitura della vera festa e dei nostri sogni di allora, che minuti e borghesi quali erano, stavano invero nei preparativi. Ci servimmo della fede come a teatro si spostano i pannelli dei fondali. La croce, l'alleluja, il sacramento sfilarono come nel giorno di Carnevale. Io detestavo Dio, lei utilizzò la religione come guepiere e rossetto. Il "Si, credo" che ci fecero pronunciare fu il prezzo che pagammo alla Chiesa per celebrare il rito davanti ai parenti.
Del resto gli invitati, specie i più stretti, ci ripagarono di gratitudine e risconoscenza. Dall'uscita in poi fu la solita pioggia entusiastica di eloqui premurosi, tipo: "complimenti, organizzazione impeccabile", "stai bene in elegante", " Dove l'avete trovato il castello?", "carino il métre", "e poi dove andate?".
Fin qui tutto bene; ma sebbene col tempo venissi blandito da ricordi ben più sgradevoli, ancora oggi mi trovo a scacciare da quelle facezie senza senso una visione, un concepimento, la prima mattonella dei fatti che in seguito si sarebbero affacciati espliciti alla nostra vita di coppia. Perchè io allora, accettai la cerimonia cattolica senza obiettare? Io che non ne potevo apparire solo indifferente, compiaciuto com'ero di contrastarne pubblicamente i principi. Io che ho sempre tenuto al mio ateismo senza sensi di colpa, perchè adesso - facendomi del male - offrivo ai miei cari l'oppurtunità di esprimere in volto stupore e ravvedersi?
Finsi di farle un dono, e lasciai sfumare la mia volontà per far posto alla sua, senza sollevare questioni. Lo feci con l'intenzione di poter vantare qualcosa in cambio, per avere lei, per Carla. Che di buona famiglia quale era scacciava, con la sua aria di meticolosa ambizione, i miei timori ricorrenti di trovarmi un giorno al fianco di 'una poco di buono', di essere svergognato e deriso dai conoscenti, con la paura di fondo di perderla. Invece di agire e coccolarla e di sedurla, mi limitavo a riporle tra le braccia il fardello pesante della mia fiducia. Sentendomi perciò in credito della mia innata onestà, continuavo ad aspettarmi che la trattasse, solo per questo, con il maggiore decoro e riguardo. Mi rendo conto di avere avuto sin da allora più aspettative che intraprendenza e che questo prima di iniziare significa perdere.
Così, alla luce delle corna che portai in seguito, rivedo la nostra bianca notte di nozze, quando braccato tra una matta voglia di averla nuda ed il desiderio di non apparire noioso e puerile, abbracciandomi teneramente, lei in vestaglia corta mi sussurrò di dormire.
domenica 7 settembre 2008
Uno scritto perduto
Per mettere insieme una semiseria spiegazione al mio infamante blog non ho trovato di meglio che una massima di Nietzsche. A grandi spanne dice che bisogna parlare solo quando non è dato di tacere e si deve parlare di qualcosa che si è superato. Questo per colpire al cuore della verità; il resto è solo chiaccherata, divagazione, pettegolezzo, letteratura.
Intanto io parlo al passato e la più ovvia conseguenza è che ciò di cui parlo risorge da lì. Sono stato un "pubblico" cornuto e ho giocato con mia moglie per la mia torbida eccitazione ad essere umilitato. Le ho edificato sopra profonde passioni il riparo indispensabile per vivere lontana da sensi di colpa la loro grande storia d'amore. Fui la corda elastica del primo lancio, il suo rassicurante istruttore, il nodo di sicurezza, la rete di salvataggio. Soltanto un inaspettato rovescio di fortuna volle che da tutto quel pericolo di rimorsi ed espiazioni, fu invece lui ad esserne travolto (e chissà se qualcuno un giorno troverà un responsabile in un infinitesimo difetto di costruzione).
Ma senza saltare gli ostacoli di quel che la mia memoria vorrà fissare nel blog, dirò che ciò di cui parlo l'ho comunque superato. Già mentre scrivo rivedo alterate le pur vivide impressioni, e la droga della mia imperturbabilità tutta intellettuale mi spinge a creare nuovi sensi, inediti significati a cose essenziali e persino estranee a quella lurida voglia. Una vita superata e tanto fertile fino a sentirla, per un eccesso di sensibilità, al di fuori di sè e confonderla con una storia di altri corpi.
Intanto io parlo al passato e la più ovvia conseguenza è che ciò di cui parlo risorge da lì. Sono stato un "pubblico" cornuto e ho giocato con mia moglie per la mia torbida eccitazione ad essere umilitato. Le ho edificato sopra profonde passioni il riparo indispensabile per vivere lontana da sensi di colpa la loro grande storia d'amore. Fui la corda elastica del primo lancio, il suo rassicurante istruttore, il nodo di sicurezza, la rete di salvataggio. Soltanto un inaspettato rovescio di fortuna volle che da tutto quel pericolo di rimorsi ed espiazioni, fu invece lui ad esserne travolto (e chissà se qualcuno un giorno troverà un responsabile in un infinitesimo difetto di costruzione).
Ma senza saltare gli ostacoli di quel che la mia memoria vorrà fissare nel blog, dirò che ciò di cui parlo l'ho comunque superato. Già mentre scrivo rivedo alterate le pur vivide impressioni, e la droga della mia imperturbabilità tutta intellettuale mi spinge a creare nuovi sensi, inediti significati a cose essenziali e persino estranee a quella lurida voglia. Una vita superata e tanto fertile fino a sentirla, per un eccesso di sensibilità, al di fuori di sè e confonderla con una storia di altri corpi.
venerdì 5 settembre 2008
Non è che rimanessi proprio immobile. Nella mia posizione, pur seduto sul bordo del letto, dondolavo, con le braccia tese all'indietro ad esibire un inutile equilibrio ad ogni sobbalzo del materasso.
Cosa facevo lì vestito di tutto punto, con i suoi abiti addosso: camicia, pantalone, calzini, scarpe e persino mutande che lei prima gli fece togliere. E lei al solito, senza nemmeno sforzarsi di mostrare una fittizia comprensione circa il mio stato, vestita tal quale era per cena, maglietta bianca corta all'ombelico con la marca sul seno e la gonnellina tipo kilt, come quando parlava di lavoro tra un bicchiere e un dolce. Come prima ma con i suoi capelli ricci biondi di cui riconoscerei ad una ad una le fragili ombre, lascivi e sfatti sul cuscino, e con quelle cosce quasi lattee di pallore sfrontatamente divaricate e strette a morsa lungo la shiena del suo amante. Mai mi è riuscito di ricondurre la sua bellezza quotidiana fatta di gesti insignificanti al significato di quel buio turpore morale cui mi sottoponeva.
Potevo solo guardare anche se ero in preda ad un delirio di eccitazione perversa, prigioniero dentro agli abiti di lui. Lo vedevo spingersi dentro prima adagio con una perizia lenta di un ricercatore in mezzo alle spoglie di una civiltà antica. Piano piano glielo infilava dentro scavandone le pareti, come a volere e prendere coscienza dell'attimo cui avrebbe saggiato il fondo. Sotto tutto ciò lo sguardo di lei puntato ai suoi occhi pieno di fiducia per quel sordido rituale di profanazione. Con me sarebbe stata sufficienza.
Senza l'esigenza di cambiare posizione era una progressione di spinte riverberata all'unisono dall'ondulare mio e dai rumori del letto. Quando poi lui affossandosi di piacere con la faccia sul cuscino le lasciò sgombro il volto al soffitto, lei ebbe un sussulto che non posso trascurare. Scostò la sua gamba destra solcata di continuo dagli scossoni delle spinte che lui le regalava e la poggiò con il polpaccio tremulo sulla mia spalla. Soddisfatta appieno da quell'improvvisato sollievo di bracciolo umano, per un attimo voltò il suo sguardo di lato per guardarmi - indisturbata da lui - dritto negli occhi. E fissandomi al colmo del piacere, sorrise quasi come per una gentilezza nei miei riguardi o meglio provò ad abbozzare un sorriso ma reso turpe per la bocca contratta e il fiato corto. Durò qualche istante poi avvertendo probabilmente l'imminenza dell'orgasmo di lui, richiamata all'ordine da un bisogno più impellente, non esitò affatto a privarmi di quella pur tenue attenzione, per riportare la gamba a stringere con ancora più vigore le prime contrazioni eiaculatorie che si affacciavano all'orgasmo dell'amante, e ricevere con priorità assoluta (sopra la mia eccitazione) l'ondata di orgasmo di lui.
Cosa facevo lì vestito di tutto punto, con i suoi abiti addosso: camicia, pantalone, calzini, scarpe e persino mutande che lei prima gli fece togliere. E lei al solito, senza nemmeno sforzarsi di mostrare una fittizia comprensione circa il mio stato, vestita tal quale era per cena, maglietta bianca corta all'ombelico con la marca sul seno e la gonnellina tipo kilt, come quando parlava di lavoro tra un bicchiere e un dolce. Come prima ma con i suoi capelli ricci biondi di cui riconoscerei ad una ad una le fragili ombre, lascivi e sfatti sul cuscino, e con quelle cosce quasi lattee di pallore sfrontatamente divaricate e strette a morsa lungo la shiena del suo amante. Mai mi è riuscito di ricondurre la sua bellezza quotidiana fatta di gesti insignificanti al significato di quel buio turpore morale cui mi sottoponeva.
Potevo solo guardare anche se ero in preda ad un delirio di eccitazione perversa, prigioniero dentro agli abiti di lui. Lo vedevo spingersi dentro prima adagio con una perizia lenta di un ricercatore in mezzo alle spoglie di una civiltà antica. Piano piano glielo infilava dentro scavandone le pareti, come a volere e prendere coscienza dell'attimo cui avrebbe saggiato il fondo. Sotto tutto ciò lo sguardo di lei puntato ai suoi occhi pieno di fiducia per quel sordido rituale di profanazione. Con me sarebbe stata sufficienza.
Senza l'esigenza di cambiare posizione era una progressione di spinte riverberata all'unisono dall'ondulare mio e dai rumori del letto. Quando poi lui affossandosi di piacere con la faccia sul cuscino le lasciò sgombro il volto al soffitto, lei ebbe un sussulto che non posso trascurare. Scostò la sua gamba destra solcata di continuo dagli scossoni delle spinte che lui le regalava e la poggiò con il polpaccio tremulo sulla mia spalla. Soddisfatta appieno da quell'improvvisato sollievo di bracciolo umano, per un attimo voltò il suo sguardo di lato per guardarmi - indisturbata da lui - dritto negli occhi. E fissandomi al colmo del piacere, sorrise quasi come per una gentilezza nei miei riguardi o meglio provò ad abbozzare un sorriso ma reso turpe per la bocca contratta e il fiato corto. Durò qualche istante poi avvertendo probabilmente l'imminenza dell'orgasmo di lui, richiamata all'ordine da un bisogno più impellente, non esitò affatto a privarmi di quella pur tenue attenzione, per riportare la gamba a stringere con ancora più vigore le prime contrazioni eiaculatorie che si affacciavano all'orgasmo dell'amante, e ricevere con priorità assoluta (sopra la mia eccitazione) l'ondata di orgasmo di lui.
giovedì 4 settembre 2008
Il pianto della bimba
Proprio non saprei dire cosa spinga una donna a rendere partecipe il compagno al suo stesso tradimento.
La teoria, tra le più più accreditate, vorrebbe una sorta di materno sentimento di compiacenza rivolto al proprio compagno: un regalo, una carota al coniglietto, un modo di renderlo felice. A lui non piace in fondo di essere tradito?
Tutto questo ha il sapore della buona coscienza con il suo contorno di partigiano tatticismo. E' il vestito elegante per un gesto infamante. Il gusto di un primitivo: lo uccido per non farlo soffrire.
Perchè non battere un'altra strada, forse più freudiana e perciò meno amata. Ci dev'essere un ostinato senso di competizione nel rapporto, che spinga la donna ad affermare e a lusingarsi del proprio potere nei confronti del partner. Dev'essere una donna che si autocompiaccia di avere al suo fianco un uomo inetto, o almeno inetto più di lei, e allo stesso tempo di rimando compianga la propria sfortunata sorte. Un'autoaffermazione quindi prima che un atto di generosità.
Amo pensare che anche mia moglie nei miei confronti abbia potuto nutrire in certi momenti un senso di vergogna, un "errore" di percezione all'origine del proprio matrimonio che creda di poter tacitare solo gridandolo al mondo (rendendomi cornuto e consapevole).
In sintesi come nel pianto di una bambina.
La teoria, tra le più più accreditate, vorrebbe una sorta di materno sentimento di compiacenza rivolto al proprio compagno: un regalo, una carota al coniglietto, un modo di renderlo felice. A lui non piace in fondo di essere tradito?
Tutto questo ha il sapore della buona coscienza con il suo contorno di partigiano tatticismo. E' il vestito elegante per un gesto infamante. Il gusto di un primitivo: lo uccido per non farlo soffrire.
Perchè non battere un'altra strada, forse più freudiana e perciò meno amata. Ci dev'essere un ostinato senso di competizione nel rapporto, che spinga la donna ad affermare e a lusingarsi del proprio potere nei confronti del partner. Dev'essere una donna che si autocompiaccia di avere al suo fianco un uomo inetto, o almeno inetto più di lei, e allo stesso tempo di rimando compianga la propria sfortunata sorte. Un'autoaffermazione quindi prima che un atto di generosità.
Amo pensare che anche mia moglie nei miei confronti abbia potuto nutrire in certi momenti un senso di vergogna, un "errore" di percezione all'origine del proprio matrimonio che creda di poter tacitare solo gridandolo al mondo (rendendomi cornuto e consapevole).
In sintesi come nel pianto di una bambina.
Dopo una pizza
Sono seduto sul mio, sul nostro letto. Meno di un'ora fa stavo seduto in pizzeria.
Cosa cambia. Eravamo, siamo in tre. Ero a disagio prima; lo sono adesso. Cambia che adesso tengo tra le dita la bustina del loro profilattico. Lei perentoria me lo ha ordinato: "Mettiglielo su".
Stanno di lato, lei sdraiata supina ancora vestita come in pizzeria. Meno le mutandine, si è raccomandata che gliele ritirassi nel suo comodino. Lui invece è inginocchiato di fronte a lei, completamente nudo di fronte alla gonnellina morbida, ultimo inadeguato baluardo alle intimità di lei ormai scoperte all'aria. Soltanto il seno si salva sotto al riparo della maglietta aderente che, pudicamente, si limita a rivestire il turgore dei capezzoli. E' eccitato e mi guarda con un certo nervosismo. Vorrebbe più celerità da parte mia?
Io come sempre sto per obbedirle. Apro di taglio la bustina. L'odore di lattice mi finisce sulle mani. Quante volte ho avuto gesti così banali. Ora invece i pensieri corrono copiosi in fretta, accorrono come per consolarmi, per cercare una spiegazione razionale che plachi il disagio di quel che sto facendo. In fondo, stai di nuovo obbedendo a lei.
Prendendo l'anello elastico con tutte due le mani mi avvicino al membro di lui accostandomi timoroso come a cercarvi appigli anche con l'olfatto. Svetta carminio, sul cusinetto carnoso di prepuzio sempre meno bastante, il glande di lui osceno di voglia; e quando lo afferro di pugno per il tronco ormai giunto all'acme di una parossistica venosità, per tenerlo fermo e srotolarglielo fino alla base, una goccia precorritrice di liquido s'affaccia dalla punta . Troppo tardi ti ho già infilato. E' stato breve, merito specie del suo turgore che mi ha sollevato da quel lavoro paggesco. Adesso può entrare senza indugi e scoparmela davanti agli occhi.
Cosa cambia. Eravamo, siamo in tre. Ero a disagio prima; lo sono adesso. Cambia che adesso tengo tra le dita la bustina del loro profilattico. Lei perentoria me lo ha ordinato: "Mettiglielo su".
Stanno di lato, lei sdraiata supina ancora vestita come in pizzeria. Meno le mutandine, si è raccomandata che gliele ritirassi nel suo comodino. Lui invece è inginocchiato di fronte a lei, completamente nudo di fronte alla gonnellina morbida, ultimo inadeguato baluardo alle intimità di lei ormai scoperte all'aria. Soltanto il seno si salva sotto al riparo della maglietta aderente che, pudicamente, si limita a rivestire il turgore dei capezzoli. E' eccitato e mi guarda con un certo nervosismo. Vorrebbe più celerità da parte mia?
Io come sempre sto per obbedirle. Apro di taglio la bustina. L'odore di lattice mi finisce sulle mani. Quante volte ho avuto gesti così banali. Ora invece i pensieri corrono copiosi in fretta, accorrono come per consolarmi, per cercare una spiegazione razionale che plachi il disagio di quel che sto facendo. In fondo, stai di nuovo obbedendo a lei.
Prendendo l'anello elastico con tutte due le mani mi avvicino al membro di lui accostandomi timoroso come a cercarvi appigli anche con l'olfatto. Svetta carminio, sul cusinetto carnoso di prepuzio sempre meno bastante, il glande di lui osceno di voglia; e quando lo afferro di pugno per il tronco ormai giunto all'acme di una parossistica venosità, per tenerlo fermo e srotolarglielo fino alla base, una goccia precorritrice di liquido s'affaccia dalla punta . Troppo tardi ti ho già infilato. E' stato breve, merito specie del suo turgore che mi ha sollevato da quel lavoro paggesco. Adesso può entrare senza indugi e scoparmela davanti agli occhi.
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