lunedì 27 luglio 2009

Regalo da donna

I petali erano affusolati e stretti a calice per via di una fioritura ancora giovane e acerba. Ma ai miei occhi arrivavano di un rosso purpureo che richiamava solennità di tinture cardinalizie e velluti antichi. Raccolte a bouquet in un panno, undici rose in tutto.
"Sono per te" mi sentii dire quando le presi in mano, "solo un pensiero".
Ancora oggi provo vergogna per la reazione che manifestai in quell'occasione, perchè il mio primo pensiero fu invece di restituirle uno schiaffo.
Così attaccai vendicativo, aggrappandomi alle sue ultime parole per spogliarne subito il senso fasullo di contenuti altruistici: "Un pensiero?!", rinfacciai.
Per temporeggiare e studiarmi meglio, gettò un'esca tra le solite vie sentimentali sin qui efficaci per blandirmi.

"Si, perchè", rispose, "volevo farti una sopresa, le ho viste e me ne sono innamorata pensando a te".

Quelle parole non davano scampo. Non mi fecero nemmeno sentire libero di sfogare l'offesa per l'impertinenza della sua "sorpresa".
Cosa me ne frega delle rose, avrei urlato. Regalami un cellulare, un orologio, un cd di Paul Simon, un calzino da uomo. Le rose le danno gli uomini alle loro compagne. E neppure tutti, io non ho quasi mai regalato fiori. Riceverli costava perciò ancora più fatica.
Mi venne affatto naturale di sentirmi io la vittima: solo in casa per tutto il pomeriggio ad aspettare il ritorno di una giovane moglie che in libera uscita dal lavoro sceglie invece una seduta dall'estetista. E per essermi prestato a chiamare il suo superiore in una comunicazione di segreteria mi arriva in dono quel "regalo da donna".


I progressisti e i più adattivi vedranno che era quello il pensiero più dolce che un uomo avrebbe potuto aspettarsi nella vita. Ma dolcezza e passività non poterono ricevere altro spazio dentro il mio animo già di par suo appesantito di languide virtù.
Di nuovo restai digiuno di conferme di virilità, malgrado i miei sforzi di affannosa ricerca. Questa volta però non nascosi l'amarezza e l'affrontai per quel suo"pensiero" così poco mascolino nei miei confronti. "Diciamola tutta" rilanciai "volevi delle rose e te le sei prese. Ti sei fatta il regalo da sola, visto che da me non le hai mai avute".
Lei diede mostra di irrigidirsi, cercando di buttarmi addosso il fango delle mie argomentazioni puerili. Disse che non avrei ricevuto da lei altro regalo se non la sua commiserazione.
Dinanzi a quel livore di orgoglio femminile ferito come mai prima di allora, mi stupii di riuscire a piantarla in asso con i fiori e ritirarmi sollevato nella camera da letto adducendo in discolpa le faccende per la sistemazione del mio guardaroba.


Ancora frastornato dallo schiaffo delle rose appena subìto, accadde qui ciò che oggi considero il vero stupro ai miei presunti desideri di virilità. Un colpo questo che a differenza dei fiori avrebbe lasciato affiorare dalle profondità del nostro rapporto di coppia, un'etichetta, una razionalizzazione che gli altri, i conoscenti d'ora in avanti chiameranno sottomissione.
Per un lasso di tempo che potrei stimare in 5-10 minuti, per la verità non successe proprio nulla.
E' impressionante come ad un cambiamento della vita di una persona non debbano prodursi altrettante tracce di variazioni nell'ambiente circostante. Così come allora il quadro non mutò affatto: avevo lasciato Carla in sala, con un'espressione sul volto di marcato ribrezzo per la mia reazione pusillanime, di fuga davanti al suo regalo. In casa il silenzio era rotto solo dai suoi movimenti e dalle manovre elementari post ingresso nell'appartamento (sistemazione della borsetta, utilizzo del bagno...).
Io stavo fermo, in ascolto. Pensai che sarebbe presto uscita di casa, per la rabbia, per una rottura che si sarebbe potuta protrarre anche giorni.


Per poco invece non sobbalzai nel mentre che fissando la porta della camera in'attesa di ulteriori indizi sonori, d'improvviso la sentii arrivare. Istintivamente mi voltai per depistarla da quella posa vigliacca di scrutatore. Ma quando ne ritrovai lo sguardo, in viso notai un'espressione ammiccante e quasi seduttiva.
Sfilava verso me ancheggiando con passi lenti e leggeri, sbugiardati solo dal rumore soffocato dei tacchi sul parquet. Il tailleur scuro che indossava, di un taglio maschile e sexy quanto basta per un ufficio legale diventava soltanto il maldestro tentativo per coprire qualcosa di assai più volgare e corrotto come una voglia o un desiderio erotico.
Ormai a contatto, avvertii i suoi gomiti accomodarsi sulle mie spalle con i ciondolii dei braccialetti ai polsi che cessarono dietro la nuca.
Inerme dentro a quell'abbraccio, fui raggiunto perentorio dalle sue labbra per sollecitarmi ad introdurvi dentro la lingua. Una forzatura questa a cui le mie mani fredde cercarono di porre un freno afferrandola per i fianchi della giacca come a proteggersi dall'impatto violento di una palla. Come se si potesse davvero scambiare per timidezza quel legnoso tentativo di autodifesa, lei si adoperò per smuovermi le mani irrigidite verso il suo di dietro e facendosele poggiare direttamente sul sedere. Mi trovai così complice di un palpeggio ruffiano che avrei invece dovuto evitare.
Dico evitare perchè all'eccitazione del contatto prevaleva dominante la paura. Paura di non farcela, di fallire l'unica occasione che mi si sarebbe potuta offrire dopo mesi di indesiderata continenza, vissuti da parte mia in sorda ostilità nei suoi confronti.
Fallire ora, dopo aver rivendicato offesa la mia virilità, significava sancire toto genere la mia inadeguatezza di compagno e di partner sessuale.


Vivevo uno scollamento di sensazioni tra il desiderio di violarla e zittire tutte le sue velate insinuazioni e la consapevolezza di non riuscirci per il risentimento ancora troppo vivo e recente che provavo.


Tuttavia arrendersi ora sarebbe stato altrettanto inutile.
Come giustificare davanti a lei la mia ritirata di fronte a ciò che io stesso stavo cercando? La nuova paura che stava montando, era di deluderla e perderla allora per sempre. Realizzai di trovarmi in scacco, senza altre mosse da prendere e decisi di subire fino in fondo anche le conseguenze di un rapporto sgradito con la speranza di un occhio benevolo di lei verso la mia dimostrazione di buona volontà.
Lasciandomi con la bocca imbrattata dal suo rossetto, Carla si scostò per andare davanti allo specchio sopra la cassettiera della camera a controllarsi il trucco sul viso. Per una volta, dopo tante frustrazioni, provai il sollievo come a uno scampato pericolo. Pensai ad una sorta di errore. Un sollievò che però smise in pochi istanti, quelli di vedere i pantaloni eleganti scivolare lungo le gambe e i suoi sandali fuoriuscirvi scavalcando l'involto di abito afflosciato sul pavimento.
Le cosce si fecero nude dinanzi a me e le sue natiche esibite con il solo filo del tanga che le spaccava in due perdendosi all'interno dei glutei. Era andata al lavoro così.
Con un sorriso enigmatico rivoltomi di sghimbescio attraverso lo specchio continuando a offrirsi di schiena, tese di lato sopra la natica il retro del tanga aiutandosi con le unghie allungate delle dita. Soltanto la giacca abbottonata e chiusa continuava a mostrare intatto l'inutile rigore dell'ufficio ormai sconfessato dal bacino in giù.


"Perdonami per aver pensato male di te" sussurrò "adesso fammi quello che mi spetta".


Al contrario di lei io ero rimasto vestito.
Sapevo che di lì a poco le avrei mostrato il mio fallimento. Il mio corpo non voleva saperne di quella vendetta. Levai allora rapidamente la tuta ma solo con lo scopo di terminare il più possibile in fretta l'agonia.
Il sesso denudato le si presentò con la consistenza di un bocciuolo, con l'estremità rosa e aggrinzita come una piccola narice, sperso tra peli assai più forti che in certi casi arrivavano a misurarne per intero la lunghezza. Tuttavia mia moglie non diede mostra di scoraggiarsi cercando anzi parole di conforto: "Lo tireremo su. Perchè intanto non cominci a baciarmi il culetto".
Quella fiducia in realtà acuiva soltanto il senso d'impotenza. Come faceva a non accorgersi della mia completa rassegnazione, fingeva di non vedere o quella richiesta partiva da altre motivazioni? La sola questione che potevo decidere era se servirla o meno.
Scelsi la consapevolezza e senza esitare mi inginocchiai dinanzi al sedere proteso in avanti di lei mentre con i capelli spioventi sul collo si stava abbandonando al cuscino delle braccia tenute conserte sopra il ripiano del mobile.
Il sesso, liberato dall'unico impedimento del tanga, si offriva accogliendomi con il suo sapore acre femminile. Non appena riuscii ad aprirmi la strada, vi poggiai le labbra sopra tenendole con le mani divaricati i glutei per rendere accessibile una maggiore porzione del viso. Con il contatto anche delle guance e del naso sull'ano arrivò soffocato un primo gemito. Quindi, avvertendo la bocca umettarsi della sua voglia la infilzai bene con la lingua da sentire presto un "da bravo, così" non più trattenuto tra i crescenti sospiri.
Preso dal miraggio di un impeto d'orgoglio, fittizio almeno quanto la nostalgia di un eunuco, invece di darle con sicurezza il piacere in quella pratica d'impronta saffica ma dall'esito quasi certo, commisi l'estremo errore di rischiare oltremodo e alzarmi in piedi.
Per istinto, scordando forse di trovarsi di fronte ad una insufficiente presenza maschile, sporse animalesca il sedere all'indietro a cercare un contatto con il membro.
Grazie al vigore della spinta, in effetti le entrai dentro. Ma non trovando qui alcun appiglio a cui afferrarsi, le sue pareti ben più eccitate della mia scarna erezione mi espulsero presto fuori.
Da quel movimento di ritorno alla realtà vidi Carla sgranare gli occhi per lo stupore. "Che c'è, sei stanco?" chiese in maniera premurosa ma già con accento marcato di disistima. Io di rimando le mostrai inoppugnabile il pene da cherubino facendole cenno di attendere.
Masturbandomi un po' le avrei forse dato ciò che sul momento non poteva avere. Per la verità non riuscivo nemmeno ad impugnarlo, che per la sua forma tondeggiante potevo estrarvi la biglia del glande soltanto tirandovi la pelle con due dita, manovrandola tra l'indice e il pollice. Se dentro di me avevo anzitempo buttato la spugna, a quella visione anche Carla dovette arrendersi. Per un pò osservò contemplativa.
Faceva già finta di aspettare ancora quando un'espressione di sufficienza le ridisegnò il volto fino a pochi attimi prima ispirato e concentrato sul piacere. Poi, senza dire niente iniziò a rassettare la mutandina ricomponendo la traiettoria dei tessuti sulle intimità rimaste inviolate. S'infilò i pantaloni mentre io stavo ancora intento a sognare provvidenziale e risolutivo un improvviso recupero di tono. Che però non avvenne e Carla dopo essersi riguardata un'altra volta il trucco allo specchio se ne andò sola in bagno. Poi, davvero questa volta uscì di casa.

1 commento:

Anonimo ha detto...

è sempre un piacere leggerti