Mentre giravo la chiave per spegnere il motore non pensavo ad altro. E proprio perhè non riuscivo di sfuggire a quella monomania, che con tanti fatti stupidi e tutto il trascurabile di una serata insieme ho creato un mostro, un ricordo da collocare per intensità vicino alla nascita d'un figlio.
Già del tragitto in auto, ricordo una mia imprecazione ovattarsi e smorzarrsi nell'abitacolo della nostra macchina a causa d'un tizio in bicicletta che barcollando ci tagliò la strada. Ma appena mi feci forte dietro il parabrezza per indirizzargli un orgoglioso "Deficiente, cazzo fai?!", subito mi prese al petto una stretta tanto più intensa, quasi fossi in verità io il colpevole, perchè lei seduta al posto di passeggero, sotto la gonna non portava le mutandine.
Al parcheggio del ristorante ero sempre io ad aprirle la portiera per scendere. Agivo compiendo più gesti e azioni possibili (magari anche di galateo) soltanto per cercarvi sollievo dai miei eccessi di emotività. E non bastarono i suoi ringraziamenti di cortesia a farmi distrarre, o vederle aggrottarsi le sopraciglia perchè non trovava il cellulare in borsa: ad un semplice broncio, non potevo nemmeno far finta che sotto non avesse niente. Camminando poi a braccetto era il calpestio dei tacchi a non concedermi sollievo dalla mia ossessione. Ovunque potevamo essere, per me lei rimaneva esposta senza biancheria. Cercai allora conforto in un delirio di finta ragionevolezza per non affogare nel pathos, e sforzandomi di negare la realtà presi a convincermi che portasse un tanga pur sottilissimo e che le mie erano solo fisse.
Con questo ansiolitico cerebrale, arrivammo davanti all' "Arc en ciel" prenotato da Carla, con menù d'ispirazione francese. Un locale tutto sommato alla buona che lasciava la sensazione di un posto ristrutturato ad arte per metterci il ristorante.
Un atrio cieco faceva da ingresso. Sulla destra s'apriva una stanza con il solo bancone del bar e dietro a questi la toilette e le cucine. Per raggiungere invece la sala del ristorante dovemmo salire di fronte su una ripida rampa di scale chiusa tra due pareti fino al punto da dove uno dei muri laterali s'apriva alle balaustre in legno di un parapetto che s'affacciava sul salone con gli altri clienti già seduti.
L'effetto era di un ingresso dal basso. Confesso che allora il colpo d'occhio fu per il soffitto elegante in volte decorate in sfrontato contrasto con i tavoli di legno lasciati al grezzo e senza tovaglia. Ci sedemmo in uno tra i più vicini, lasciato libero con sopra il nostro nome della prenotazione, proprio a ridosso della ringhiera d'ingresso. Allora il mio artificioso sedativo mentale smise d'un fiato i suoi blandi effetti. Fui riportato al presente come per un pugno basso.
Vedevo per le scale l'andirivieni di clienti e camerieri, vedevo spuntare dal basso i capelli, poi il volto e le spalle di quelli che salivano oppure scendevano fino a scomparire nella tromba dell'androne. Rispetto a questo Carla si era messa in perfetta perpendicolare; io sull'unica sedia predisposta al suo fianco, con il posto a lei dirimpetto occupato dal telaio scarno di un carrello portavivande. A vederli passare ad uno ad uno i numerosi camerieri pregavo perchè fossero impegnati e presi di loro da non voltarsi e guardare di sghimbescio il parapetto traditore. Riprendevo a respirare solo quando scomparivano ingenui con i loro vassoi dalla nostra pericolosa traiettoria.
La gente non è come me, ha altro da pensare. Perciò decisi di ostentare forza di spirito e indifferenza e non cambiare di posto. Però Carla era davvero lì con una gonna di candido tessuto poco melangiato che da seduta terminava comunque a metà coscia appena di poco più sotto delle fasce autoreggenti delle calze, anch'esse bianche. Fosse stata almeno in scuro - pensavo - magari ne avrebbe perso in visibilità. Invece a proteggerle il fiore non c'era nemmeno un tanga. Se solo qualcuno per distrarsi si fosse voltato, da quelle scale avrebbe goduto di una vista senza impedimenti.
Come ultimo rimedio pensai che almeno Carla avrebbe salvato il salvabile accavallando le gambe una sull'altra. Fu tutto inutile, perchè quella sera voleva in toto disilludermi. Paradossalmente mi sentivo io spogliare da Carla ad ogni tentativo di difesa che provavo ad imbastire. Era come se lasciando le gambe semi aperte, fosse lei a togliermi le mutande davanti a sconosciuti. Mio malgrado dovetti accettare la realtà. Dovevo soltanto parlarle come si fa ad una cena. Ricordo che lo feci seriamente come mai prima chiedendole informazioni circa il sogno di suo padre di prendersi una casa in collina per andarci a passare week end libero dalla moglie. Dissentii con la più aperta indignazione: "Un uomo che scappa", le dissi qualcosa del genere. Moralizzai con in corpo le convinzioni e le idologie di un giovane contestatore.
Quanto fossi ridicolo non si sforzò lei a dimostrarmelo. Sulle mie spalle si poggiarono mani inaspettate. Il cameriere, un giovane di qualche anno in più di noi, mi si era confidenzialmente chinato alla maniera di un padre. Poi disse qualcosa che non potei tradurre per il mio scarso inglese, fino a vederlo scivolare come un animale proprio sotto il tavolo davanti ai piedi di Carla. Per difesa feci per chinarmi anch'io ma lui già stava risalendo con la testa porgendomi un tovagliolo evidentemente cadutomi per terra. Sorrise dicendomi qualcosa di gentile, ma io non seppi pensare ad altro che stesse occhieggiando alle nudità della mia donna, anche se con mia moglie fece in seguito sfoggio di una servizievole galanteria scambiandosi (io venivo ignorato) in tutta cortesia qualche consiglio per la degustazione degli ottimi vini della zona.
Inutile nascondermi che da quel momento in poi, mi toccò di assistere inerme ai colleghi di questo cameriere scambiarsi tra di loro sorrisetti d'ironia nel mentre che stazionavano sfrontati sui gradini più pericolosi. Un susseguirsi di gente. Fino a scorgervi i nostri vicini di tavolo, dei quali con i più disinvolti, con ancora il cibo che faticava a scendermi in gola, finii per incrociare gli sguardi guardandoli diritti negli occhi proprio di tra quelle balaustre dove fino pochi istanti prima avevano già potuto intravedere, rasa e di un morbido ritegno, la fica di mia moglie.
venerdì 3 ottobre 2008
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