venerdì 18 settembre 2009

Dopo di te

La tua donna ti sta tradendo. Concede e anzi si premura che il proprio fiore sinora a te riservato sotto mille condizionamenti sociali (il matrimonio, i suoi genitori, il tempo lavorativo) venga voluttuosamente sgualcito e assuefatto ad ogni passaggio da quel corpo estraneo alla vostra coppia, sino a plasmarsi con tutte le sue pieghe di femminilità alla tumescenza ingovernabile di uomo che ormai è schiavo e rozzo del suo stesso appetito e si nutre della propria voglia di eiaculare dentro. Un uomo che, senza passare per le tue tribolazioni quotidiane, ne raccoglie ora incontrastato proprio il frutto.

Per quanto possa apparire persona riservata lui se la scopa, ne fa il proprio giocattolo: sarà in seguito personale motivo d'orgoglio e di vanto verosimilmente con amici e conoscenti. In mezzo a questo vuoto di qualsivoglia morale, lei è sua complice. Ne asseconda le spinte, prende la sua parte di piacere che tra l'altro, se il partner è bravo, sarà nel rapporto anche quella maggiore. Se così non fosse, almeno nelle sue aspettative, non avrebbe ragione per accettare su di sè il gravare del maggior prezzo da pagare. La sua reputazione vale forse meno di quella scappatella? Per lei oltre al piacere di stare e di darsi all'amante, non c'è motivo di vanto a sostenerla, non c'è traccia di orgoglio nell'avere un marito consenziente che preferisce guardare invece che possederla. Del tuo piacere lei non può appagarsi, non è ricambiata, è indifferente ti sta solo facendo un favore. Nella migliore delle ipotesi, al pari di un indumento erotico maschile, usa la tua sottomissione come eccitante per il rapporto che ha con l'uomo che non sei tu. Tu sei la fantasia, l'altro quello che vuole. Tu che la guardi hai perso tutto, dignità, stima, possesso, non puoi fare altro. Anche se in un inaspettato tentativo di inversione di marcia, ti mettessi a gridare come un pazzo e a inveire contro gli amanti, avresti comunque già perso. Come sfasciare un'automobile fuori dal casinò: puoi farlo, ma non riavrai il denaro indietro. Mentre scopano sei un fantasma, puoi anche uscire dalla stanza e andare altrove ma loro stanno scopando. Se concesso potrai anche partecipare in parte all'amplesso, ma questo fa di te null'altro che l'effetto come fa il vento su di una foglia mentre cade. Non c'è più la tua volontà a plasmare gli eventi, non puoi risalire la china e fermare lo scempio. In questo senso non hai vie d'uscita, sei annichilito altrettanto che fossi in una bara. Assistere la donna che ti tradisce precorre i tempi e catapulta in vita il sogno di essere al proprio funerale.

lunedì 27 luglio 2009

Regalo da donna

I petali erano affusolati e stretti a calice per via di una fioritura ancora giovane e acerba. Ma ai miei occhi arrivavano di un rosso purpureo che richiamava solennità di tinture cardinalizie e velluti antichi. Raccolte a bouquet in un panno, undici rose in tutto.
"Sono per te" mi sentii dire quando le presi in mano, "solo un pensiero".
Ancora oggi provo vergogna per la reazione che manifestai in quell'occasione, perchè il mio primo pensiero fu invece di restituirle uno schiaffo.
Così attaccai vendicativo, aggrappandomi alle sue ultime parole per spogliarne subito il senso fasullo di contenuti altruistici: "Un pensiero?!", rinfacciai.
Per temporeggiare e studiarmi meglio, gettò un'esca tra le solite vie sentimentali sin qui efficaci per blandirmi.

"Si, perchè", rispose, "volevo farti una sopresa, le ho viste e me ne sono innamorata pensando a te".

Quelle parole non davano scampo. Non mi fecero nemmeno sentire libero di sfogare l'offesa per l'impertinenza della sua "sorpresa".
Cosa me ne frega delle rose, avrei urlato. Regalami un cellulare, un orologio, un cd di Paul Simon, un calzino da uomo. Le rose le danno gli uomini alle loro compagne. E neppure tutti, io non ho quasi mai regalato fiori. Riceverli costava perciò ancora più fatica.
Mi venne affatto naturale di sentirmi io la vittima: solo in casa per tutto il pomeriggio ad aspettare il ritorno di una giovane moglie che in libera uscita dal lavoro sceglie invece una seduta dall'estetista. E per essermi prestato a chiamare il suo superiore in una comunicazione di segreteria mi arriva in dono quel "regalo da donna".


I progressisti e i più adattivi vedranno che era quello il pensiero più dolce che un uomo avrebbe potuto aspettarsi nella vita. Ma dolcezza e passività non poterono ricevere altro spazio dentro il mio animo già di par suo appesantito di languide virtù.
Di nuovo restai digiuno di conferme di virilità, malgrado i miei sforzi di affannosa ricerca. Questa volta però non nascosi l'amarezza e l'affrontai per quel suo"pensiero" così poco mascolino nei miei confronti. "Diciamola tutta" rilanciai "volevi delle rose e te le sei prese. Ti sei fatta il regalo da sola, visto che da me non le hai mai avute".
Lei diede mostra di irrigidirsi, cercando di buttarmi addosso il fango delle mie argomentazioni puerili. Disse che non avrei ricevuto da lei altro regalo se non la sua commiserazione.
Dinanzi a quel livore di orgoglio femminile ferito come mai prima di allora, mi stupii di riuscire a piantarla in asso con i fiori e ritirarmi sollevato nella camera da letto adducendo in discolpa le faccende per la sistemazione del mio guardaroba.


Ancora frastornato dallo schiaffo delle rose appena subìto, accadde qui ciò che oggi considero il vero stupro ai miei presunti desideri di virilità. Un colpo questo che a differenza dei fiori avrebbe lasciato affiorare dalle profondità del nostro rapporto di coppia, un'etichetta, una razionalizzazione che gli altri, i conoscenti d'ora in avanti chiameranno sottomissione.
Per un lasso di tempo che potrei stimare in 5-10 minuti, per la verità non successe proprio nulla.
E' impressionante come ad un cambiamento della vita di una persona non debbano prodursi altrettante tracce di variazioni nell'ambiente circostante. Così come allora il quadro non mutò affatto: avevo lasciato Carla in sala, con un'espressione sul volto di marcato ribrezzo per la mia reazione pusillanime, di fuga davanti al suo regalo. In casa il silenzio era rotto solo dai suoi movimenti e dalle manovre elementari post ingresso nell'appartamento (sistemazione della borsetta, utilizzo del bagno...).
Io stavo fermo, in ascolto. Pensai che sarebbe presto uscita di casa, per la rabbia, per una rottura che si sarebbe potuta protrarre anche giorni.


Per poco invece non sobbalzai nel mentre che fissando la porta della camera in'attesa di ulteriori indizi sonori, d'improvviso la sentii arrivare. Istintivamente mi voltai per depistarla da quella posa vigliacca di scrutatore. Ma quando ne ritrovai lo sguardo, in viso notai un'espressione ammiccante e quasi seduttiva.
Sfilava verso me ancheggiando con passi lenti e leggeri, sbugiardati solo dal rumore soffocato dei tacchi sul parquet. Il tailleur scuro che indossava, di un taglio maschile e sexy quanto basta per un ufficio legale diventava soltanto il maldestro tentativo per coprire qualcosa di assai più volgare e corrotto come una voglia o un desiderio erotico.
Ormai a contatto, avvertii i suoi gomiti accomodarsi sulle mie spalle con i ciondolii dei braccialetti ai polsi che cessarono dietro la nuca.
Inerme dentro a quell'abbraccio, fui raggiunto perentorio dalle sue labbra per sollecitarmi ad introdurvi dentro la lingua. Una forzatura questa a cui le mie mani fredde cercarono di porre un freno afferrandola per i fianchi della giacca come a proteggersi dall'impatto violento di una palla. Come se si potesse davvero scambiare per timidezza quel legnoso tentativo di autodifesa, lei si adoperò per smuovermi le mani irrigidite verso il suo di dietro e facendosele poggiare direttamente sul sedere. Mi trovai così complice di un palpeggio ruffiano che avrei invece dovuto evitare.
Dico evitare perchè all'eccitazione del contatto prevaleva dominante la paura. Paura di non farcela, di fallire l'unica occasione che mi si sarebbe potuta offrire dopo mesi di indesiderata continenza, vissuti da parte mia in sorda ostilità nei suoi confronti.
Fallire ora, dopo aver rivendicato offesa la mia virilità, significava sancire toto genere la mia inadeguatezza di compagno e di partner sessuale.


Vivevo uno scollamento di sensazioni tra il desiderio di violarla e zittire tutte le sue velate insinuazioni e la consapevolezza di non riuscirci per il risentimento ancora troppo vivo e recente che provavo.


Tuttavia arrendersi ora sarebbe stato altrettanto inutile.
Come giustificare davanti a lei la mia ritirata di fronte a ciò che io stesso stavo cercando? La nuova paura che stava montando, era di deluderla e perderla allora per sempre. Realizzai di trovarmi in scacco, senza altre mosse da prendere e decisi di subire fino in fondo anche le conseguenze di un rapporto sgradito con la speranza di un occhio benevolo di lei verso la mia dimostrazione di buona volontà.
Lasciandomi con la bocca imbrattata dal suo rossetto, Carla si scostò per andare davanti allo specchio sopra la cassettiera della camera a controllarsi il trucco sul viso. Per una volta, dopo tante frustrazioni, provai il sollievo come a uno scampato pericolo. Pensai ad una sorta di errore. Un sollievò che però smise in pochi istanti, quelli di vedere i pantaloni eleganti scivolare lungo le gambe e i suoi sandali fuoriuscirvi scavalcando l'involto di abito afflosciato sul pavimento.
Le cosce si fecero nude dinanzi a me e le sue natiche esibite con il solo filo del tanga che le spaccava in due perdendosi all'interno dei glutei. Era andata al lavoro così.
Con un sorriso enigmatico rivoltomi di sghimbescio attraverso lo specchio continuando a offrirsi di schiena, tese di lato sopra la natica il retro del tanga aiutandosi con le unghie allungate delle dita. Soltanto la giacca abbottonata e chiusa continuava a mostrare intatto l'inutile rigore dell'ufficio ormai sconfessato dal bacino in giù.


"Perdonami per aver pensato male di te" sussurrò "adesso fammi quello che mi spetta".


Al contrario di lei io ero rimasto vestito.
Sapevo che di lì a poco le avrei mostrato il mio fallimento. Il mio corpo non voleva saperne di quella vendetta. Levai allora rapidamente la tuta ma solo con lo scopo di terminare il più possibile in fretta l'agonia.
Il sesso denudato le si presentò con la consistenza di un bocciuolo, con l'estremità rosa e aggrinzita come una piccola narice, sperso tra peli assai più forti che in certi casi arrivavano a misurarne per intero la lunghezza. Tuttavia mia moglie non diede mostra di scoraggiarsi cercando anzi parole di conforto: "Lo tireremo su. Perchè intanto non cominci a baciarmi il culetto".
Quella fiducia in realtà acuiva soltanto il senso d'impotenza. Come faceva a non accorgersi della mia completa rassegnazione, fingeva di non vedere o quella richiesta partiva da altre motivazioni? La sola questione che potevo decidere era se servirla o meno.
Scelsi la consapevolezza e senza esitare mi inginocchiai dinanzi al sedere proteso in avanti di lei mentre con i capelli spioventi sul collo si stava abbandonando al cuscino delle braccia tenute conserte sopra il ripiano del mobile.
Il sesso, liberato dall'unico impedimento del tanga, si offriva accogliendomi con il suo sapore acre femminile. Non appena riuscii ad aprirmi la strada, vi poggiai le labbra sopra tenendole con le mani divaricati i glutei per rendere accessibile una maggiore porzione del viso. Con il contatto anche delle guance e del naso sull'ano arrivò soffocato un primo gemito. Quindi, avvertendo la bocca umettarsi della sua voglia la infilzai bene con la lingua da sentire presto un "da bravo, così" non più trattenuto tra i crescenti sospiri.
Preso dal miraggio di un impeto d'orgoglio, fittizio almeno quanto la nostalgia di un eunuco, invece di darle con sicurezza il piacere in quella pratica d'impronta saffica ma dall'esito quasi certo, commisi l'estremo errore di rischiare oltremodo e alzarmi in piedi.
Per istinto, scordando forse di trovarsi di fronte ad una insufficiente presenza maschile, sporse animalesca il sedere all'indietro a cercare un contatto con il membro.
Grazie al vigore della spinta, in effetti le entrai dentro. Ma non trovando qui alcun appiglio a cui afferrarsi, le sue pareti ben più eccitate della mia scarna erezione mi espulsero presto fuori.
Da quel movimento di ritorno alla realtà vidi Carla sgranare gli occhi per lo stupore. "Che c'è, sei stanco?" chiese in maniera premurosa ma già con accento marcato di disistima. Io di rimando le mostrai inoppugnabile il pene da cherubino facendole cenno di attendere.
Masturbandomi un po' le avrei forse dato ciò che sul momento non poteva avere. Per la verità non riuscivo nemmeno ad impugnarlo, che per la sua forma tondeggiante potevo estrarvi la biglia del glande soltanto tirandovi la pelle con due dita, manovrandola tra l'indice e il pollice. Se dentro di me avevo anzitempo buttato la spugna, a quella visione anche Carla dovette arrendersi. Per un pò osservò contemplativa.
Faceva già finta di aspettare ancora quando un'espressione di sufficienza le ridisegnò il volto fino a pochi attimi prima ispirato e concentrato sul piacere. Poi, senza dire niente iniziò a rassettare la mutandina ricomponendo la traiettoria dei tessuti sulle intimità rimaste inviolate. S'infilò i pantaloni mentre io stavo ancora intento a sognare provvidenziale e risolutivo un improvviso recupero di tono. Che però non avvenne e Carla dopo essersi riguardata un'altra volta il trucco allo specchio se ne andò sola in bagno. Poi, davvero questa volta uscì di casa.

venerdì 10 aprile 2009

Troppo tardi per capire

Decisi di vendere cara la pelle il giorno che a bruciapelo Carla mi chiese il favore di telefonare al suo superiore. Avrei avuto bisogno di tempo per orizzontarmi, per capire se qualcosa di anomalo stesse per succedere. Ma con lei toccava rifarsi ancora una volta a decisioni repentine in assenza di informazioni che insieme ai loro echi di razionalità avrebbero portato rassicurazione e lucidità mentale.

Questa volta non avrei ceduto senza reagire. Anche soltanto per fingere con Carla di non essere tanto superficiale da non interessarmi alle sue richieste. Questo afflato di nobiltà d'animo mi diede forza per prendere tempo.

Stava chiamando dal suo cellulare.
"Ma perchè non lo chiami tu?" fu quanto riuscii a motivare. Sebbene da una simile ovvietà non potessi sperare altro che una risposta ancora più scontata, con essa mi sentivo da subito rincuorato di trovarmi dalla parte della ragione.

Ebbi in cambio tutta la sua pazienza necessaria per una spiegazione dai toni didascalici: teneva il numero sulla rubrica di casa ed era senza ricarica (per contratto in questi casi poteva chiamare me soltanto). Uscendo dall'ufficio, nel pomeriggio di permesso per andare dall'estetista, si era dimenticata di fargli firmare un plico di carte che gli sarebbero state indispensabili - pena la prescrizione di una causa importante - quando il lunedì mattina il suo giovane avvocato sarebbe andato in tribunale direttamente senza passare dallo studio.

"Non puoi andarci tu dopo?" seguitai ad insistere, ma senza credere io medesimo alla forza persuasiva di simili questioni di principio. Mi compiaqui tuttavia di incassare il naturale epilogo della voce addolcita di Carla che come s'usa ad un bambino a lungo capriccioso prometteva una sorpresa per la serata. Bastò da sola quella attenzione rubata a farmi sentire vincitore nella pur breve lotta.

Mi disse semplicemente che più tardi lui sarebbe uscito dall'ufficio; non restava altro da chiedere che venisse l'indomani (sabato) mattina a casa nostra, dove al nostro computer avrebbe compilato e stampato in tutta tranquillità i documenti necessari.


Con la mia apparente irremovibilità unita alla promessa che Carla si lasciò scappare mi sembrava di averle fatto pagare un prezzo fin eccessivo per il mio aiuto (di norma non avrei nemmeno tentato di oppormi). Facendole cadere dall'alto la mia complicità, in questo modo la mia autostima ne usciva del tutto preservata.

E a contribuire a farmi tenere bassa nel contempo la guardia, fu proprio la telefonata successiva al "suo" Max. Uno scarso entusiasmo di lui che registrai nei suoi modi, la brevità di certe risposte di servizio, e un atteggiamento che scambiai per quasi insofferenza dinanzi al mio invito per l'indomani furono acqua fresca sul fuoco della mia gelosia. Pensavo che se per tradire si dev'essere almeno in due, lui non sembrava quello più interessato. Ora che so quanto allora mi sbagliassi, posso affermare che il mio era furbesco autoinganno. Spostavo su di lui il baricentro delle attenzioni per cosa avrebbe o non avrebbe voluto fare, quasi fosse in verità lui a potermi tradire. Mentre troppo tardi mi arresi a constatare che quanto più lui si mostrava indifferente, tanto lei desiderava di sedurlo.

sabato 7 febbraio 2009

Vincitori e vinti

Non che mi dispiaccia affatto di immaginarci con la maturità di una coppia che sonnecchia sul divano di Domenica pomeriggio con un programma televisivo in sottofondo. Mi rendo conto che il maggior tempo che perdo a fantasticare su come potrei essere e diventare, avviene proprio in quei momenti quando la vita prende una piega indesiderata verso tonalità cupe e fredde.

Per questo non accusai nemmeno troppo dolore il giorno che ricevetti da mia moglie l'incarico di telefonare a "Massi" per farlo entrare in casa nostra. Già il nomignolo - Massi - con il quale lei lo chiamava, era una lama calda che si appoggiava sui miei brandelli di ego. Se non Massimiliano, avrei accettato bene Massimo o anche Max, che di gran lunga mi sembravano più banali e scontati. Invece quel nome, Massi, che mi arrivava insieme al languore di una voce addolcita, le donava un guizzo di vita negli occhi che mai avrei veduto parlando con lei di altri conoscenti. Nel nome c'era già apprezzamento, la tentazione di un frutto impossibile.

Per me che mi limitavo a sentirlo nominare dalla voce ogni volta partigiana di mia moglie, rimaneva soltanto l'avvocato a cui Carla vi faceva da assistente, anche se tra i colleghi certamente il più pericoloso.

Potevo forse sbagliarmi su di lui e sul fascino che poteva avere sulle donne, ma l'idea che mi ero fatto soltanto per sentito dire mi veniva naturalmente franca e del tutto priva di zone d'ombra, neanche ci conoscessimo da una vita.

Era un carrierista. Uno giovane, tanto più giovane di me quanto allo stesso tempo più determinato e ambizioso. Chi intraprende la carriera in un foro legale generalmente sogna il grande caso. Questo giovane avvocato invece, più di una volta si era rifiutato di seguire per lo studio legale dove esercitava, casi di affari poco puliti della politica locale e di malasanità per dedicarsi a quello che gli altri snobbavano come affitti, recupero crediti e altre robette di poco conto. Da scalatore sociale lucido e previdente era questa la sua maniera per farsi alle spalle una rete fitta quanto solida di clientela affezionata e legata a lui solo.

Non era sposato ma di lui mi tormentava in seriose considerazioni l'esibizione sprezzante di un atteggiamento volutamente cinico, rischiando con ciò d'insinuare proprio in mia moglie l'origine di nuovi e forse più vitali sentimenti in contrasto con i miei moralismi e le tante questioni di principio di cui ridondavano ogni giorno le nostre conversazioni. Bastò davvero poco per elevarsi in questa maniera agli occhi incuriositi di lei come "un tipo in gamba", uno più maturo dell'età che ha.
E di lì in poi fu un ulteriore passo breve a rendere quei contrasti tra la mia immagine e la sua come cartine al tornasole che le chiarissero di volta in volta i confini tra un uomo vincente e uno perdente, tra chi la vita l'aggredisce e chi invece la subisce. Ogni rimprovero a me rivolto finì così per diventare un attestato di stima per lui fino alla frustrazione di certi eccessi in cui non riusciva a trattenersi dal portarmelo ad esempio.

giovedì 4 dicembre 2008

Sono anch'io di destra

Ho votato per la Sinistra alle ultime elezioni. Ma avrei fatto lo stesso nella Spagna di Zapatero e nell'America di Obama. Non per un fatto di nomi e cognomi, che si trovano lì, come nelle cantine si trovano scatole buone per ritirarvi gli addobbi di Natale. Lascio il culto della personalità con le sue psicologie rassicuranti alle rubriche sulla posta del cuore.

Di gran lunga mostrandomi in questa maniera più fragile, lo dico nascondendomi pusillanime nell'anonimato del nickname e del blog: il mio è un caso di sentimento. Io mi sento di sinistra. Lo dico con l'arroganza di chi sta imponendo uno sfregio, consapevole di arrecare in prima battuta un danno a chi davvero da questa parte, crede nella politica.

Del resto sono troppo impegnato a guardarmi dentro per ascoltare le motivazioni di coloro che sostengono le guerre preventive. Con queste premesse non resta altro che rimanersene sospesi tra le nuvole, senza i piedi per terra, in quella postura inevitabile di sognatore idealista. Niente perciò a che vedere con la concretezza del fare, dei self made man, della cultura d'impresa, dell'uomo che costruisce palazzi e che scrive lettere d'amore immaginandosi davanti un pubblico di canzoni d'autore.

Semmai ai fatti, ho scelto la forza delle idee che percorre gli animi eccitandoli, che armano le mani degli assassini e che le fanno congiungere in preghiera, credo alla frustrazione, al sottobosco notturno degli impotenti e dei traditori. Credo insomma che "non di solo pane vivrà l'uomo".

Così mi conobbe Carla.

Il mio carattere di narciso sinistrorso m'inibisce dunque alla leggerezza dell'essere. E proprio da questo prendersi sul serio, Carla non trascurò affatto di farsi sedurre. Con il pretesto d'innamorarsi delle mie parole si assicurò il futuro di avere accanto una coscienza paterna vocata per sua natura all'indulgenza ed alla comprensione. Trovò in me il confessore per tutti i peccati d'infedeltà di cui avrebbe potuto coprirsi. Un romantico dell'800 avrebbe detto che mia era solo la mente, non il cuore.

Appena conosciuti ci trovammo uniti sotto al riparo di ampi ombrelli d'ideali tipo "dal letame nascono i fiori" o "l'odio non si uccide con la violenza". Pensando insieme di migliorare il mondo con la nostra unione, puntammo a far crescere il rapporto in una intesa tutta intelletuale.

Dietro a quella scorta armata della ragione che doveva garantirci da imprevisti sentimentali di coppia, blindammo allora il nostro legame. Poche uscite con terzi, sempre io e lei, vita sociale pressochè azzerata.
Forse proprio a causa di queste chiusure, mi fu sufficiente notare uno sguardo di lei più interessato del solito a certe vetrine.
Così avvenne che durante le nostre passeggiate in centro, scoprii quanto lei in verità amasse soffermarsi proprio davanti ai negozi di gioielli. Vezzo femminile. Ma il passo successivo, che mi fece vacillare quel poderoso apparato di sicurezza messo in piedi, fu di sentirmi indicare anche quali avrebbe gradito per la prossima ricorrenza.

Motivandolo con la coerenza della mia natura mi sono sempre sentito impacciato per quel tipo di regali. Per fare certi doni devi avere un certo carattere. Come quello del fidanzato di mia moglie, di lì a non molto, riuscì senza ripensamenti a dimostrare.

Davanti ad amici comuni, la vidi in seguito esibire collezioni di bracciali a me sconosciute ma che bene velavano un subdolo rimprovero nei miei confronti. Il peggiore di questi trovò voce ad una festa in famiglia quando mio padre dandoci il benvenuto nell'ingresso di casa sua, arrivò a farle i complimenti per i gioielli che pensava io le avessi regalato.

E chi erano i suoi amici con cui cominciammo poi a vederci? Gente con cui non potevo condividere altro che discussioni sportive, persone fiere di se', donne in tailleur da uffici milanesi, uomini in carriera dall'ambizione attenuata nel vestire alla moda. Che quando si faceva il verso alla politica eravamo impegnati tutti quanti a sdottoreggiare l'inferiorità e la stupidità degli uomini di sinistra. L'unica differenza era che per me bastava annuire.

mercoledì 19 novembre 2008

Lotta impari

Il nero muterà in bianco, come quanto vi appare in chiaro diventerà scuro. Mi rendo conto che il mio matrimonio andrebbe meglio letto come il negativo del sacramento d'origine, riuscendo così soltanto a decifrarvi le metafore di cui abbisogna ancora oggi un'iniziazione per sopravvivere sotto ai colpi dell'indifferenza nichilista.
L'antica tradizione voleva che le nozze segnassero uno spartiacque tra l'incontro più o meno fornicante dei fidanzati e l'ingresso ad una sessualità coniugale "adulta", fatta di reciproco dono, liberata infine dalle barriere sociali costruite sull'imene.

Nella nostra storia di coppia, cominciata con rapporti di sesso talmente liberi da apparire da subito quasi routinari, Carla eresse un muro impenetrabile di castità proprio sopra la fede nuziale, avendovi annotata nella data ivi impressa, la fine dei nostri rapporti regolari.
Da quel giorno mi trovai impedito a completare qualsiasi specie di penetrazione che portasse quantomeno al mio orgasmo. Si fissò di trovare un colpevole per quasiasi movente: colpa del mio inopportuno e goffo desiderio, colpa della sua insoddisfazione. In mezzo, ridondante come in un foro legale, ci stava un vocabolario sterminato di attenuanti o aggravanti, ognuna in mio sfavore.

Questa coscienza di carattere introspettivo, di cui nel tempo ho preso possesso, e che tuttora mi aiuta a stemperare gli accessi laidi di eccitazione degenerati dalla continenza protratta, non poteva però essere tale ad una sera tra le strade di Niagara City, al ritorno da un ristorantino francese in cui lei, dinanzi a sconosciuti avverntori, era arrivata a farsi notare senza mutande. In auto non trovai oltremodo ragioni per non metterle le mani addosso e infilarne subito, e senza preliminari d'approccio, una sotto la gonna.
"Fammela vedere anche a me". Forte di quello spregiudicato esibire le nude intimità sotto il tavolo, tagliai corto con la certezza di abbattere un pupazzo di neve.
Ma anche qui vi trovai resistenza.
"Fermo! Non così" contrasse a morsa le cosce seminude, spostandomi le dita avide di sesso e riassestandosi spazientita la gonna stropicciata, "Così non mi piace" rimproverò, "qui...in auto...aspetta in albergo"
"Senti", dissi io, ma già con rassegnazione "Non ce la faccio più! Non ti chiedo tanto. Solo di farmela vedere un attimo"

Era quella una lotta di potere. A parte il sesso in sè, sul quale avrei saputo sorvolare, avrei voluto che per una volta mi si concedesse con un gesto pur minimo (nel caso specifico facendomela guardare). Una resa anche solo parziale, avrebbe aizzato l'arroganza che avrei ottenuto in cambio per aumentare in seguito la posta in gioco delle mie richieste. Un capriccio che lei dovette intuire subito. Difatti non cedette.

Finii per stringere le mani con veemenza sulla pelle del volante fino a torcerla facendovi leva con il polso. Esasperando poi la frizione in ripidi cambi di marcia e lasciando morire in un rancoroso silenzio le parole, arrivammo senza dirci null'altro fino all'hotel.
Per dimostrare più rabbia di quanto davvero ne avessi in corpo, fui davvero eccessivo nello sbattere le porte che man mano incontravo. A causa della mia andatura spedita lei rimase di qualche passo indietro. Senza badare a questioni di galanteria nè agli sguardi incuriositi dei presenti entrai per primo e a spron battente nella reception, poi nella sala TV qui adiacente, quindi nel corridoio e in camera.
Lei entrò poco dopo, giusto in tempo per vedermi gettare con foga e rumore le chiavi sulla prima mensola vicina.
"Bè?!" mi disse "Ti si è girata la testa?"
"Dove vuoi arrivare" rilanciai io "Andiamo a cena, tu senza mutande... e magari pretendi che io me ne stia buono buono!?". Il tono di voce mi divenne presto patetico e subdolamente, pur sfornando di continuo buone ragioni al discorso, non aiutava certo la mia frustrazione.
Mia moglie dovette avvertire una sorta di scoramento per rimanersene in silenzio in interminabili istanti. "Se è così" disse poi, "allora spogliati e mettiti in ginocchio".
Prima di obbedirle senza ritegno ricordo di avere eccepito qualcosa circa la forma, per quei modi giudicati come bruschi e pur con tutto, non idonei alla situazione. Ma sebbene le puntuali obiezioni, mi ritrovai nei fatti completamente nudo e smentito di fronte alla sua gonna e alla maglietta attillata che indossava con una scritta modaiola sul seno.
Ancora in quello stato di prostrazione vaneggiavo fosse lei ad aver ceduto alle mie basse voglie.
"Bravo" schernì compiaciuta dello spogliarello, "E adesso giù".
Le sue mani sulle spalle nude mi sollecitarono a scendere dinanzi a lei fino a sentire sotto le ginocchia la fredda porcellana delle piastrelle.
Che mi chiedesse di baciarla al basso ventre e scoparla sembrava ormai scontato, quando con sopresa la vidi dirigersi in punta di piedi verso la porta della stanza che dava sul corridoio esterno. Rimasi interdetto, più dei rischi che stavo correndo, per la mia assoluta incapacità di reagire. Nonostante il timore di essere esposto al corridoio e tradito nella fiducia che le stavo regalando a piene mani, non cambiai d'un centimetro la posizione sconveniente in cui mi trovavo, di profilo ma in perfetta traiettoria della porta. Carla invece fu altrettanto brava nel privarmi di questa gratuita soddisfazione, limitandosi dal canto suo a girare la maniglia ma soltanto per lasciarvi l'uscio socchiuso. Avere avuto paura a causa di vane illazioni a suo carico mi faceva oltremodo sentire in colpa.

Conclusa questa manovra dal sapore interlocutorio, fece ritorno davanti a me, privo com'ero di uno straccio di virilità sul pene ancora sgonfio, per sedersi su di uno sgabello e finalmente tirarsi su la gonna.
Vedevo in quelle condizioni e soltanto dopo altri uomini, per la prima volta nuda dal matrimonio, la natura della mia donna.

Non protetta a sufficienza da una snellita peluria tanto corta da sembrarmi albina come in risultato d'una puntigliosa depilazione, pareva chiamare in suo riparo a poca distanza i fascioni bianchi delle autoreggenti che di loro arrivavano però a stento ad avvolgere la parte superiore cosce.
Non so come ma fui sorpreso nel vedere il taglio delle labbra socchiuso in quella una congiunzione illibata dall'ultima volta (ormai settimane) che fummo insieme.
"Cosa aspetti?" sussurrò. Poi avvertendomi di non toccarla, rimase in posizione di attesa con le braccia incrociate e la fica oscenamente esposta.
Meccanicamente portai la mano sinistra sul membro per iniziare un meschino spettacolo di autoerotismo. Agli inizi non fu facile a causa della porta lasciata socchiusa che lasciava interferire gli echi di persone nel corridoio in tratti così nitidi quasi fossero in stanza. I vicini rincasavano con tutta la famiglia e io mi masturbavo davanti a mia moglie. Mi resi conto in quel momento di aver perduto qualsiasi genere di autorità non solo al suo cospetto ma anche di fronte ad altri uomini e pur sconosciuti.
"Vuoi vedere come si sarebbe potuto masturbare il cameriere che prima ti guardava dalla scala?" le suggerii arrendendomi con la voce bassa per non farmi sentire da fuori. Posso dire che non stavo più in me, sentendomi com'ero alla stregua di uno qualsiasi dei guardoni del ristorante.

L'eccitazione prese a montarmi vedendola sorridere complice. In bocca venivo assalito da una salivazione con il tempo sempre più nervosa. Mi guardai addosso abbassando lo sguardo. Come un ragazzo, mi stavo dando piacere ad un ritmo frenetico e man mano più difficile da mantenere senza il rischio di arrivare alla fine senza nemmeno averla baciata. Trovai lo sguardo di lei che osservava la mia mano vigliacca muoversi sulla cresta della mia eccitazione solitaria, lei così libera di pensare a qualsiasi cosa che persino fosse assente e lontana. Poco alla volta mi sentii sudare sotto le ascelle.

Avvertendo da quella distanza i profumi femminili di lavanda intima salirmi dal suo inguine alla testa, domandai allo strenuo della resistenza di ricevere in cambio di quella sciagurata esibizione almeno una carezza proibita che alleviasse il mio senso di alienazione per quel sesso da impotenti. L'ulteriore diniego che dovetti incassare non mi fece desistere dall'implorarla per venirle almeno addosso.
Mai prima d'allora avrei pensato di arrivare a tanto, in una camera d'albergo davanti alla mia donna, e in silenzio per la paura dei vicini.
Per frenare i primi sintomi di contrazioni orgasmiche che ormai facevano capolino sull'asta esasperata dalla sega, cominciai a ritrarre - ultimo tentativo - un poco all'indietro il bacino. Speravo che da un momento all'altro Carla cambiasse idea chiedendomi di penetrarla anche se solo per poche spinte. Neppure un finto segno di cedimento le mutò l'espressione beffarda del viso, malgrado le gocce di sudore mi segnassero la fronte. Di lì a poco sarei venuto e lei mi avrebbe lasciato finire senza dire nulla?

In breve fui costretto ad arrendermi sentendo senza scampo avanzare l'orgasmo ad opera esclusiva della mia mano sudicia. I primi fiotti uscirono di slancio come bambini in corsa verso una madre per cadere invece poco oltre per terra vicino agli staffili torniti dei suoi tacchi. Il restante colò sul tronco e tra i peli dei testicoli, scapigliati dalla sega.

Ora che mi ero privato di tutto avrei potuto qualsiasi cosa, ad esempio andarmene?
Come per farsi perdonare lei porse dal comodino un fazzoletto di carta che mi servisse a ripulire le tremule chiazze di sperma. Soltanto allora, una volta alzati, Carla mi abbracciò fortemente spingendosi a stretto contatto su di me con il suo bacino ancora nudo. Ma sotto quella spinta forte e diretta da cui venne sopraffatto il mio pene, fui costretto per effetto del suo tono scarso e a penzoloni, a limitarmi ad un superficiale sfregamento sulle pur tenere labbra, come ad un semplice contatto saffico.

venerdì 3 ottobre 2008

"Tuo padre è un uomo che scappa"

Mentre giravo la chiave per spegnere il motore non pensavo ad altro. E proprio perhè non riuscivo di sfuggire a quella monomania, che con tanti fatti stupidi e tutto il trascurabile di una serata insieme ho creato un mostro, un ricordo da collocare per intensità vicino alla nascita d'un figlio.
Già del tragitto in auto, ricordo una mia imprecazione ovattarsi e smorzarrsi nell'abitacolo della nostra macchina a causa d'un tizio in bicicletta che barcollando ci tagliò la strada. Ma appena mi feci forte dietro il parabrezza per indirizzargli un orgoglioso "Deficiente, cazzo fai?!", subito mi prese al petto una stretta tanto più intensa, quasi fossi in verità io il colpevole, perchè lei seduta al posto di passeggero, sotto la gonna non portava le mutandine.
Al parcheggio del ristorante ero sempre io ad aprirle la portiera per scendere. Agivo compiendo più gesti e azioni possibili (magari anche di galateo) soltanto per cercarvi sollievo dai miei eccessi di emotività. E non bastarono i suoi ringraziamenti di cortesia a farmi distrarre, o vederle aggrottarsi le sopraciglia perchè non trovava il cellulare in borsa: ad un semplice broncio, non potevo nemmeno far finta che sotto non avesse niente. Camminando poi a braccetto era il calpestio dei tacchi a non concedermi sollievo dalla mia ossessione. Ovunque potevamo essere, per me lei rimaneva esposta senza biancheria. Cercai allora conforto in un delirio di finta ragionevolezza per non affogare nel pathos, e sforzandomi di negare la realtà presi a convincermi che portasse un tanga pur sottilissimo e che le mie erano solo fisse.

Con questo ansiolitico cerebrale, arrivammo davanti all' "Arc en ciel" prenotato da Carla, con menù d'ispirazione francese. Un locale tutto sommato alla buona che lasciava la sensazione di un posto ristrutturato ad arte per metterci il ristorante.
Un atrio cieco faceva da ingresso. Sulla destra s'apriva una stanza con il solo bancone del bar e dietro a questi la toilette e le cucine. Per raggiungere invece la sala del ristorante dovemmo salire di fronte su una ripida rampa di scale chiusa tra due pareti fino al punto da dove uno dei muri laterali s'apriva alle balaustre in legno di un parapetto che s'affacciava sul salone con gli altri clienti già seduti.
L'effetto era di un ingresso dal basso. Confesso che allora il colpo d'occhio fu per il soffitto elegante in volte decorate in sfrontato contrasto con i tavoli di legno lasciati al grezzo e senza tovaglia. Ci sedemmo in uno tra i più vicini, lasciato libero con sopra il nostro nome della prenotazione, proprio a ridosso della ringhiera d'ingresso. Allora il mio artificioso sedativo mentale smise d'un fiato i suoi blandi effetti. Fui riportato al presente come per un pugno basso.
Vedevo per le scale l'andirivieni di clienti e camerieri, vedevo spuntare dal basso i capelli, poi il volto e le spalle di quelli che salivano oppure scendevano fino a scomparire nella tromba dell'androne. Rispetto a questo Carla si era messa in perfetta perpendicolare; io sull'unica sedia predisposta al suo fianco, con il posto a lei dirimpetto occupato dal telaio scarno di un carrello portavivande. A vederli passare ad uno ad uno i numerosi camerieri pregavo perchè fossero impegnati e presi di loro da non voltarsi e guardare di sghimbescio il parapetto traditore. Riprendevo a respirare solo quando scomparivano ingenui con i loro vassoi dalla nostra pericolosa traiettoria.

La gente non è come me, ha altro da pensare. Perciò decisi di ostentare forza di spirito e indifferenza e non cambiare di posto. Però Carla era davvero lì con una gonna di candido tessuto poco melangiato che da seduta terminava comunque a metà coscia appena di poco più sotto delle fasce autoreggenti delle calze, anch'esse bianche. Fosse stata almeno in scuro - pensavo - magari ne avrebbe perso in visibilità. Invece a proteggerle il fiore non c'era nemmeno un tanga. Se solo qualcuno per distrarsi si fosse voltato, da quelle scale avrebbe goduto di una vista senza impedimenti.
Come ultimo rimedio pensai che almeno Carla avrebbe salvato il salvabile accavallando le gambe una sull'altra. Fu tutto inutile, perchè quella sera voleva in toto disilludermi. Paradossalmente mi sentivo io spogliare da Carla ad ogni tentativo di difesa che provavo ad imbastire. Era come se lasciando le gambe semi aperte, fosse lei a togliermi le mutande davanti a sconosciuti. Mio malgrado dovetti accettare la realtà. Dovevo soltanto parlarle come si fa ad una cena. Ricordo che lo feci seriamente come mai prima chiedendole informazioni circa il sogno di suo padre di prendersi una casa in collina per andarci a passare week end libero dalla moglie. Dissentii con la più aperta indignazione: "Un uomo che scappa", le dissi qualcosa del genere. Moralizzai con in corpo le convinzioni e le idologie di un giovane contestatore.
Quanto fossi ridicolo non si sforzò lei a dimostrarmelo. Sulle mie spalle si poggiarono mani inaspettate. Il cameriere, un giovane di qualche anno in più di noi, mi si era confidenzialmente chinato alla maniera di un padre. Poi disse qualcosa che non potei tradurre per il mio scarso inglese, fino a vederlo scivolare come un animale proprio sotto il tavolo davanti ai piedi di Carla. Per difesa feci per chinarmi anch'io ma lui già stava risalendo con la testa porgendomi un tovagliolo evidentemente cadutomi per terra. Sorrise dicendomi qualcosa di gentile, ma io non seppi pensare ad altro che stesse occhieggiando alle nudità della mia donna, anche se con mia moglie fece in seguito sfoggio di una servizievole galanteria scambiandosi (io venivo ignorato) in tutta cortesia qualche consiglio per la degustazione degli ottimi vini della zona.

Inutile nascondermi che da quel momento in poi, mi toccò di assistere inerme ai colleghi di questo cameriere scambiarsi tra di loro sorrisetti d'ironia nel mentre che stazionavano sfrontati sui gradini più pericolosi. Un susseguirsi di gente. Fino a scorgervi i nostri vicini di tavolo, dei quali con i più disinvolti, con ancora il cibo che faticava a scendermi in gola, finii per incrociare gli sguardi guardandoli diritti negli occhi proprio di tra quelle balaustre dove fino pochi istanti prima avevano già potuto intravedere, rasa e di un morbido ritegno, la fica di mia moglie.