venerdì 18 settembre 2009

Dopo di te

La tua donna ti sta tradendo. Concede e anzi si premura che il proprio fiore sinora a te riservato sotto mille condizionamenti sociali (il matrimonio, i suoi genitori, il tempo lavorativo) venga voluttuosamente sgualcito e assuefatto ad ogni passaggio da quel corpo estraneo alla vostra coppia, sino a plasmarsi con tutte le sue pieghe di femminilità alla tumescenza ingovernabile di uomo che ormai è schiavo e rozzo del suo stesso appetito e si nutre della propria voglia di eiaculare dentro. Un uomo che, senza passare per le tue tribolazioni quotidiane, ne raccoglie ora incontrastato proprio il frutto.

Per quanto possa apparire persona riservata lui se la scopa, ne fa il proprio giocattolo: sarà in seguito personale motivo d'orgoglio e di vanto verosimilmente con amici e conoscenti. In mezzo a questo vuoto di qualsivoglia morale, lei è sua complice. Ne asseconda le spinte, prende la sua parte di piacere che tra l'altro, se il partner è bravo, sarà nel rapporto anche quella maggiore. Se così non fosse, almeno nelle sue aspettative, non avrebbe ragione per accettare su di sè il gravare del maggior prezzo da pagare. La sua reputazione vale forse meno di quella scappatella? Per lei oltre al piacere di stare e di darsi all'amante, non c'è motivo di vanto a sostenerla, non c'è traccia di orgoglio nell'avere un marito consenziente che preferisce guardare invece che possederla. Del tuo piacere lei non può appagarsi, non è ricambiata, è indifferente ti sta solo facendo un favore. Nella migliore delle ipotesi, al pari di un indumento erotico maschile, usa la tua sottomissione come eccitante per il rapporto che ha con l'uomo che non sei tu. Tu sei la fantasia, l'altro quello che vuole. Tu che la guardi hai perso tutto, dignità, stima, possesso, non puoi fare altro. Anche se in un inaspettato tentativo di inversione di marcia, ti mettessi a gridare come un pazzo e a inveire contro gli amanti, avresti comunque già perso. Come sfasciare un'automobile fuori dal casinò: puoi farlo, ma non riavrai il denaro indietro. Mentre scopano sei un fantasma, puoi anche uscire dalla stanza e andare altrove ma loro stanno scopando. Se concesso potrai anche partecipare in parte all'amplesso, ma questo fa di te null'altro che l'effetto come fa il vento su di una foglia mentre cade. Non c'è più la tua volontà a plasmare gli eventi, non puoi risalire la china e fermare lo scempio. In questo senso non hai vie d'uscita, sei annichilito altrettanto che fossi in una bara. Assistere la donna che ti tradisce precorre i tempi e catapulta in vita il sogno di essere al proprio funerale.

lunedì 27 luglio 2009

Regalo da donna

I petali erano affusolati e stretti a calice per via di una fioritura ancora giovane e acerba. Ma ai miei occhi arrivavano di un rosso purpureo che richiamava solennità di tinture cardinalizie e velluti antichi. Raccolte a bouquet in un panno, undici rose in tutto.
"Sono per te" mi sentii dire quando le presi in mano, "solo un pensiero".
Ancora oggi provo vergogna per la reazione che manifestai in quell'occasione, perchè il mio primo pensiero fu invece di restituirle uno schiaffo.
Così attaccai vendicativo, aggrappandomi alle sue ultime parole per spogliarne subito il senso fasullo di contenuti altruistici: "Un pensiero?!", rinfacciai.
Per temporeggiare e studiarmi meglio, gettò un'esca tra le solite vie sentimentali sin qui efficaci per blandirmi.

"Si, perchè", rispose, "volevo farti una sopresa, le ho viste e me ne sono innamorata pensando a te".

Quelle parole non davano scampo. Non mi fecero nemmeno sentire libero di sfogare l'offesa per l'impertinenza della sua "sorpresa".
Cosa me ne frega delle rose, avrei urlato. Regalami un cellulare, un orologio, un cd di Paul Simon, un calzino da uomo. Le rose le danno gli uomini alle loro compagne. E neppure tutti, io non ho quasi mai regalato fiori. Riceverli costava perciò ancora più fatica.
Mi venne affatto naturale di sentirmi io la vittima: solo in casa per tutto il pomeriggio ad aspettare il ritorno di una giovane moglie che in libera uscita dal lavoro sceglie invece una seduta dall'estetista. E per essermi prestato a chiamare il suo superiore in una comunicazione di segreteria mi arriva in dono quel "regalo da donna".


I progressisti e i più adattivi vedranno che era quello il pensiero più dolce che un uomo avrebbe potuto aspettarsi nella vita. Ma dolcezza e passività non poterono ricevere altro spazio dentro il mio animo già di par suo appesantito di languide virtù.
Di nuovo restai digiuno di conferme di virilità, malgrado i miei sforzi di affannosa ricerca. Questa volta però non nascosi l'amarezza e l'affrontai per quel suo"pensiero" così poco mascolino nei miei confronti. "Diciamola tutta" rilanciai "volevi delle rose e te le sei prese. Ti sei fatta il regalo da sola, visto che da me non le hai mai avute".
Lei diede mostra di irrigidirsi, cercando di buttarmi addosso il fango delle mie argomentazioni puerili. Disse che non avrei ricevuto da lei altro regalo se non la sua commiserazione.
Dinanzi a quel livore di orgoglio femminile ferito come mai prima di allora, mi stupii di riuscire a piantarla in asso con i fiori e ritirarmi sollevato nella camera da letto adducendo in discolpa le faccende per la sistemazione del mio guardaroba.


Ancora frastornato dallo schiaffo delle rose appena subìto, accadde qui ciò che oggi considero il vero stupro ai miei presunti desideri di virilità. Un colpo questo che a differenza dei fiori avrebbe lasciato affiorare dalle profondità del nostro rapporto di coppia, un'etichetta, una razionalizzazione che gli altri, i conoscenti d'ora in avanti chiameranno sottomissione.
Per un lasso di tempo che potrei stimare in 5-10 minuti, per la verità non successe proprio nulla.
E' impressionante come ad un cambiamento della vita di una persona non debbano prodursi altrettante tracce di variazioni nell'ambiente circostante. Così come allora il quadro non mutò affatto: avevo lasciato Carla in sala, con un'espressione sul volto di marcato ribrezzo per la mia reazione pusillanime, di fuga davanti al suo regalo. In casa il silenzio era rotto solo dai suoi movimenti e dalle manovre elementari post ingresso nell'appartamento (sistemazione della borsetta, utilizzo del bagno...).
Io stavo fermo, in ascolto. Pensai che sarebbe presto uscita di casa, per la rabbia, per una rottura che si sarebbe potuta protrarre anche giorni.


Per poco invece non sobbalzai nel mentre che fissando la porta della camera in'attesa di ulteriori indizi sonori, d'improvviso la sentii arrivare. Istintivamente mi voltai per depistarla da quella posa vigliacca di scrutatore. Ma quando ne ritrovai lo sguardo, in viso notai un'espressione ammiccante e quasi seduttiva.
Sfilava verso me ancheggiando con passi lenti e leggeri, sbugiardati solo dal rumore soffocato dei tacchi sul parquet. Il tailleur scuro che indossava, di un taglio maschile e sexy quanto basta per un ufficio legale diventava soltanto il maldestro tentativo per coprire qualcosa di assai più volgare e corrotto come una voglia o un desiderio erotico.
Ormai a contatto, avvertii i suoi gomiti accomodarsi sulle mie spalle con i ciondolii dei braccialetti ai polsi che cessarono dietro la nuca.
Inerme dentro a quell'abbraccio, fui raggiunto perentorio dalle sue labbra per sollecitarmi ad introdurvi dentro la lingua. Una forzatura questa a cui le mie mani fredde cercarono di porre un freno afferrandola per i fianchi della giacca come a proteggersi dall'impatto violento di una palla. Come se si potesse davvero scambiare per timidezza quel legnoso tentativo di autodifesa, lei si adoperò per smuovermi le mani irrigidite verso il suo di dietro e facendosele poggiare direttamente sul sedere. Mi trovai così complice di un palpeggio ruffiano che avrei invece dovuto evitare.
Dico evitare perchè all'eccitazione del contatto prevaleva dominante la paura. Paura di non farcela, di fallire l'unica occasione che mi si sarebbe potuta offrire dopo mesi di indesiderata continenza, vissuti da parte mia in sorda ostilità nei suoi confronti.
Fallire ora, dopo aver rivendicato offesa la mia virilità, significava sancire toto genere la mia inadeguatezza di compagno e di partner sessuale.


Vivevo uno scollamento di sensazioni tra il desiderio di violarla e zittire tutte le sue velate insinuazioni e la consapevolezza di non riuscirci per il risentimento ancora troppo vivo e recente che provavo.


Tuttavia arrendersi ora sarebbe stato altrettanto inutile.
Come giustificare davanti a lei la mia ritirata di fronte a ciò che io stesso stavo cercando? La nuova paura che stava montando, era di deluderla e perderla allora per sempre. Realizzai di trovarmi in scacco, senza altre mosse da prendere e decisi di subire fino in fondo anche le conseguenze di un rapporto sgradito con la speranza di un occhio benevolo di lei verso la mia dimostrazione di buona volontà.
Lasciandomi con la bocca imbrattata dal suo rossetto, Carla si scostò per andare davanti allo specchio sopra la cassettiera della camera a controllarsi il trucco sul viso. Per una volta, dopo tante frustrazioni, provai il sollievo come a uno scampato pericolo. Pensai ad una sorta di errore. Un sollievò che però smise in pochi istanti, quelli di vedere i pantaloni eleganti scivolare lungo le gambe e i suoi sandali fuoriuscirvi scavalcando l'involto di abito afflosciato sul pavimento.
Le cosce si fecero nude dinanzi a me e le sue natiche esibite con il solo filo del tanga che le spaccava in due perdendosi all'interno dei glutei. Era andata al lavoro così.
Con un sorriso enigmatico rivoltomi di sghimbescio attraverso lo specchio continuando a offrirsi di schiena, tese di lato sopra la natica il retro del tanga aiutandosi con le unghie allungate delle dita. Soltanto la giacca abbottonata e chiusa continuava a mostrare intatto l'inutile rigore dell'ufficio ormai sconfessato dal bacino in giù.


"Perdonami per aver pensato male di te" sussurrò "adesso fammi quello che mi spetta".


Al contrario di lei io ero rimasto vestito.
Sapevo che di lì a poco le avrei mostrato il mio fallimento. Il mio corpo non voleva saperne di quella vendetta. Levai allora rapidamente la tuta ma solo con lo scopo di terminare il più possibile in fretta l'agonia.
Il sesso denudato le si presentò con la consistenza di un bocciuolo, con l'estremità rosa e aggrinzita come una piccola narice, sperso tra peli assai più forti che in certi casi arrivavano a misurarne per intero la lunghezza. Tuttavia mia moglie non diede mostra di scoraggiarsi cercando anzi parole di conforto: "Lo tireremo su. Perchè intanto non cominci a baciarmi il culetto".
Quella fiducia in realtà acuiva soltanto il senso d'impotenza. Come faceva a non accorgersi della mia completa rassegnazione, fingeva di non vedere o quella richiesta partiva da altre motivazioni? La sola questione che potevo decidere era se servirla o meno.
Scelsi la consapevolezza e senza esitare mi inginocchiai dinanzi al sedere proteso in avanti di lei mentre con i capelli spioventi sul collo si stava abbandonando al cuscino delle braccia tenute conserte sopra il ripiano del mobile.
Il sesso, liberato dall'unico impedimento del tanga, si offriva accogliendomi con il suo sapore acre femminile. Non appena riuscii ad aprirmi la strada, vi poggiai le labbra sopra tenendole con le mani divaricati i glutei per rendere accessibile una maggiore porzione del viso. Con il contatto anche delle guance e del naso sull'ano arrivò soffocato un primo gemito. Quindi, avvertendo la bocca umettarsi della sua voglia la infilzai bene con la lingua da sentire presto un "da bravo, così" non più trattenuto tra i crescenti sospiri.
Preso dal miraggio di un impeto d'orgoglio, fittizio almeno quanto la nostalgia di un eunuco, invece di darle con sicurezza il piacere in quella pratica d'impronta saffica ma dall'esito quasi certo, commisi l'estremo errore di rischiare oltremodo e alzarmi in piedi.
Per istinto, scordando forse di trovarsi di fronte ad una insufficiente presenza maschile, sporse animalesca il sedere all'indietro a cercare un contatto con il membro.
Grazie al vigore della spinta, in effetti le entrai dentro. Ma non trovando qui alcun appiglio a cui afferrarsi, le sue pareti ben più eccitate della mia scarna erezione mi espulsero presto fuori.
Da quel movimento di ritorno alla realtà vidi Carla sgranare gli occhi per lo stupore. "Che c'è, sei stanco?" chiese in maniera premurosa ma già con accento marcato di disistima. Io di rimando le mostrai inoppugnabile il pene da cherubino facendole cenno di attendere.
Masturbandomi un po' le avrei forse dato ciò che sul momento non poteva avere. Per la verità non riuscivo nemmeno ad impugnarlo, che per la sua forma tondeggiante potevo estrarvi la biglia del glande soltanto tirandovi la pelle con due dita, manovrandola tra l'indice e il pollice. Se dentro di me avevo anzitempo buttato la spugna, a quella visione anche Carla dovette arrendersi. Per un pò osservò contemplativa.
Faceva già finta di aspettare ancora quando un'espressione di sufficienza le ridisegnò il volto fino a pochi attimi prima ispirato e concentrato sul piacere. Poi, senza dire niente iniziò a rassettare la mutandina ricomponendo la traiettoria dei tessuti sulle intimità rimaste inviolate. S'infilò i pantaloni mentre io stavo ancora intento a sognare provvidenziale e risolutivo un improvviso recupero di tono. Che però non avvenne e Carla dopo essersi riguardata un'altra volta il trucco allo specchio se ne andò sola in bagno. Poi, davvero questa volta uscì di casa.

venerdì 10 aprile 2009

Troppo tardi per capire

Decisi di vendere cara la pelle il giorno che a bruciapelo Carla mi chiese il favore di telefonare al suo superiore. Avrei avuto bisogno di tempo per orizzontarmi, per capire se qualcosa di anomalo stesse per succedere. Ma con lei toccava rifarsi ancora una volta a decisioni repentine in assenza di informazioni che insieme ai loro echi di razionalità avrebbero portato rassicurazione e lucidità mentale.

Questa volta non avrei ceduto senza reagire. Anche soltanto per fingere con Carla di non essere tanto superficiale da non interessarmi alle sue richieste. Questo afflato di nobiltà d'animo mi diede forza per prendere tempo.

Stava chiamando dal suo cellulare.
"Ma perchè non lo chiami tu?" fu quanto riuscii a motivare. Sebbene da una simile ovvietà non potessi sperare altro che una risposta ancora più scontata, con essa mi sentivo da subito rincuorato di trovarmi dalla parte della ragione.

Ebbi in cambio tutta la sua pazienza necessaria per una spiegazione dai toni didascalici: teneva il numero sulla rubrica di casa ed era senza ricarica (per contratto in questi casi poteva chiamare me soltanto). Uscendo dall'ufficio, nel pomeriggio di permesso per andare dall'estetista, si era dimenticata di fargli firmare un plico di carte che gli sarebbero state indispensabili - pena la prescrizione di una causa importante - quando il lunedì mattina il suo giovane avvocato sarebbe andato in tribunale direttamente senza passare dallo studio.

"Non puoi andarci tu dopo?" seguitai ad insistere, ma senza credere io medesimo alla forza persuasiva di simili questioni di principio. Mi compiaqui tuttavia di incassare il naturale epilogo della voce addolcita di Carla che come s'usa ad un bambino a lungo capriccioso prometteva una sorpresa per la serata. Bastò da sola quella attenzione rubata a farmi sentire vincitore nella pur breve lotta.

Mi disse semplicemente che più tardi lui sarebbe uscito dall'ufficio; non restava altro da chiedere che venisse l'indomani (sabato) mattina a casa nostra, dove al nostro computer avrebbe compilato e stampato in tutta tranquillità i documenti necessari.


Con la mia apparente irremovibilità unita alla promessa che Carla si lasciò scappare mi sembrava di averle fatto pagare un prezzo fin eccessivo per il mio aiuto (di norma non avrei nemmeno tentato di oppormi). Facendole cadere dall'alto la mia complicità, in questo modo la mia autostima ne usciva del tutto preservata.

E a contribuire a farmi tenere bassa nel contempo la guardia, fu proprio la telefonata successiva al "suo" Max. Uno scarso entusiasmo di lui che registrai nei suoi modi, la brevità di certe risposte di servizio, e un atteggiamento che scambiai per quasi insofferenza dinanzi al mio invito per l'indomani furono acqua fresca sul fuoco della mia gelosia. Pensavo che se per tradire si dev'essere almeno in due, lui non sembrava quello più interessato. Ora che so quanto allora mi sbagliassi, posso affermare che il mio era furbesco autoinganno. Spostavo su di lui il baricentro delle attenzioni per cosa avrebbe o non avrebbe voluto fare, quasi fosse in verità lui a potermi tradire. Mentre troppo tardi mi arresi a constatare che quanto più lui si mostrava indifferente, tanto lei desiderava di sedurlo.

sabato 7 febbraio 2009

Vincitori e vinti

Non che mi dispiaccia affatto di immaginarci con la maturità di una coppia che sonnecchia sul divano di Domenica pomeriggio con un programma televisivo in sottofondo. Mi rendo conto che il maggior tempo che perdo a fantasticare su come potrei essere e diventare, avviene proprio in quei momenti quando la vita prende una piega indesiderata verso tonalità cupe e fredde.

Per questo non accusai nemmeno troppo dolore il giorno che ricevetti da mia moglie l'incarico di telefonare a "Massi" per farlo entrare in casa nostra. Già il nomignolo - Massi - con il quale lei lo chiamava, era una lama calda che si appoggiava sui miei brandelli di ego. Se non Massimiliano, avrei accettato bene Massimo o anche Max, che di gran lunga mi sembravano più banali e scontati. Invece quel nome, Massi, che mi arrivava insieme al languore di una voce addolcita, le donava un guizzo di vita negli occhi che mai avrei veduto parlando con lei di altri conoscenti. Nel nome c'era già apprezzamento, la tentazione di un frutto impossibile.

Per me che mi limitavo a sentirlo nominare dalla voce ogni volta partigiana di mia moglie, rimaneva soltanto l'avvocato a cui Carla vi faceva da assistente, anche se tra i colleghi certamente il più pericoloso.

Potevo forse sbagliarmi su di lui e sul fascino che poteva avere sulle donne, ma l'idea che mi ero fatto soltanto per sentito dire mi veniva naturalmente franca e del tutto priva di zone d'ombra, neanche ci conoscessimo da una vita.

Era un carrierista. Uno giovane, tanto più giovane di me quanto allo stesso tempo più determinato e ambizioso. Chi intraprende la carriera in un foro legale generalmente sogna il grande caso. Questo giovane avvocato invece, più di una volta si era rifiutato di seguire per lo studio legale dove esercitava, casi di affari poco puliti della politica locale e di malasanità per dedicarsi a quello che gli altri snobbavano come affitti, recupero crediti e altre robette di poco conto. Da scalatore sociale lucido e previdente era questa la sua maniera per farsi alle spalle una rete fitta quanto solida di clientela affezionata e legata a lui solo.

Non era sposato ma di lui mi tormentava in seriose considerazioni l'esibizione sprezzante di un atteggiamento volutamente cinico, rischiando con ciò d'insinuare proprio in mia moglie l'origine di nuovi e forse più vitali sentimenti in contrasto con i miei moralismi e le tante questioni di principio di cui ridondavano ogni giorno le nostre conversazioni. Bastò davvero poco per elevarsi in questa maniera agli occhi incuriositi di lei come "un tipo in gamba", uno più maturo dell'età che ha.
E di lì in poi fu un ulteriore passo breve a rendere quei contrasti tra la mia immagine e la sua come cartine al tornasole che le chiarissero di volta in volta i confini tra un uomo vincente e uno perdente, tra chi la vita l'aggredisce e chi invece la subisce. Ogni rimprovero a me rivolto finì così per diventare un attestato di stima per lui fino alla frustrazione di certi eccessi in cui non riusciva a trattenersi dal portarmelo ad esempio.