Il nero muterà in bianco, come quanto vi appare in chiaro diventerà scuro. Mi rendo conto che il mio matrimonio andrebbe meglio letto come il negativo del sacramento d'origine, riuscendo così soltanto a decifrarvi le metafore di cui abbisogna ancora oggi un'iniziazione per sopravvivere sotto ai colpi dell'indifferenza nichilista.
L'antica tradizione voleva che le nozze segnassero uno spartiacque tra l'incontro più o meno fornicante dei fidanzati e l'ingresso ad una sessualità coniugale "adulta", fatta di reciproco dono, liberata infine dalle barriere sociali costruite sull'imene.
Nella nostra storia di coppia, cominciata con rapporti di sesso talmente liberi da apparire da subito quasi routinari, Carla eresse un muro impenetrabile di castità proprio sopra la fede nuziale, avendovi annotata nella data ivi impressa, la fine dei nostri rapporti regolari.
Da quel giorno mi trovai impedito a completare qualsiasi specie di penetrazione che portasse quantomeno al mio orgasmo. Si fissò di trovare un colpevole per quasiasi movente: colpa del mio inopportuno e goffo desiderio, colpa della sua insoddisfazione. In mezzo, ridondante come in un foro legale, ci stava un vocabolario sterminato di attenuanti o aggravanti, ognuna in mio sfavore.
Questa coscienza di carattere introspettivo, di cui nel tempo ho preso possesso, e che tuttora mi aiuta a stemperare gli accessi laidi di eccitazione degenerati dalla continenza protratta, non poteva però essere tale ad una sera tra le strade di Niagara City, al ritorno da un ristorantino francese in cui lei, dinanzi a sconosciuti avverntori, era arrivata a farsi notare senza mutande. In auto non trovai oltremodo ragioni per non metterle le mani addosso e infilarne subito, e senza preliminari d'approccio, una sotto la gonna.
"Fammela vedere anche a me". Forte di quello spregiudicato esibire le nude intimità sotto il tavolo, tagliai corto con la certezza di abbattere un pupazzo di neve.
Ma anche qui vi trovai resistenza.
"Fermo! Non così" contrasse a morsa le cosce seminude, spostandomi le dita avide di sesso e riassestandosi spazientita la gonna stropicciata, "Così non mi piace" rimproverò, "qui...in auto...aspetta in albergo"
"Senti", dissi io, ma già con rassegnazione "Non ce la faccio più! Non ti chiedo tanto. Solo di farmela vedere un attimo"
Era quella una lotta di potere. A parte il sesso in sè, sul quale avrei saputo sorvolare, avrei voluto che per una volta mi si concedesse con un gesto pur minimo (nel caso specifico facendomela guardare). Una resa anche solo parziale, avrebbe aizzato l'arroganza che avrei ottenuto in cambio per aumentare in seguito la posta in gioco delle mie richieste. Un capriccio che lei dovette intuire subito. Difatti non cedette.
Finii per stringere le mani con veemenza sulla pelle del volante fino a torcerla facendovi leva con il polso. Esasperando poi la frizione in ripidi cambi di marcia e lasciando morire in un rancoroso silenzio le parole, arrivammo senza dirci null'altro fino all'hotel.
Per dimostrare più rabbia di quanto davvero ne avessi in corpo, fui davvero eccessivo nello sbattere le porte che man mano incontravo. A causa della mia andatura spedita lei rimase di qualche passo indietro. Senza badare a questioni di galanteria nè agli sguardi incuriositi dei presenti entrai per primo e a spron battente nella reception, poi nella sala TV qui adiacente, quindi nel corridoio e in camera.
Lei entrò poco dopo, giusto in tempo per vedermi gettare con foga e rumore le chiavi sulla prima mensola vicina.
"Bè?!" mi disse "Ti si è girata la testa?"
"Dove vuoi arrivare" rilanciai io "Andiamo a cena, tu senza mutande... e magari pretendi che io me ne stia buono buono!?". Il tono di voce mi divenne presto patetico e subdolamente, pur sfornando di continuo buone ragioni al discorso, non aiutava certo la mia frustrazione.
Mia moglie dovette avvertire una sorta di scoramento per rimanersene in silenzio in interminabili istanti. "Se è così" disse poi, "allora spogliati e mettiti in ginocchio".
Prima di obbedirle senza ritegno ricordo di avere eccepito qualcosa circa la forma, per quei modi giudicati come bruschi e pur con tutto, non idonei alla situazione. Ma sebbene le puntuali obiezioni, mi ritrovai nei fatti completamente nudo e smentito di fronte alla sua gonna e alla maglietta attillata che indossava con una scritta modaiola sul seno.
Ancora in quello stato di prostrazione vaneggiavo fosse lei ad aver ceduto alle mie basse voglie.
"Bravo" schernì compiaciuta dello spogliarello, "E adesso giù".
Le sue mani sulle spalle nude mi sollecitarono a scendere dinanzi a lei fino a sentire sotto le ginocchia la fredda porcellana delle piastrelle.
Che mi chiedesse di baciarla al basso ventre e scoparla sembrava ormai scontato, quando con sopresa la vidi dirigersi in punta di piedi verso la porta della stanza che dava sul corridoio esterno. Rimasi interdetto, più dei rischi che stavo correndo, per la mia assoluta incapacità di reagire. Nonostante il timore di essere esposto al corridoio e tradito nella fiducia che le stavo regalando a piene mani, non cambiai d'un centimetro la posizione sconveniente in cui mi trovavo, di profilo ma in perfetta traiettoria della porta. Carla invece fu altrettanto brava nel privarmi di questa gratuita soddisfazione, limitandosi dal canto suo a girare la maniglia ma soltanto per lasciarvi l'uscio socchiuso. Avere avuto paura a causa di vane illazioni a suo carico mi faceva oltremodo sentire in colpa.
Conclusa questa manovra dal sapore interlocutorio, fece ritorno davanti a me, privo com'ero di uno straccio di virilità sul pene ancora sgonfio, per sedersi su di uno sgabello e finalmente tirarsi su la gonna.
Vedevo in quelle condizioni e soltanto dopo altri uomini, per la prima volta nuda dal matrimonio, la natura della mia donna.
Non protetta a sufficienza da una snellita peluria tanto corta da sembrarmi albina come in risultato d'una puntigliosa depilazione, pareva chiamare in suo riparo a poca distanza i fascioni bianchi delle autoreggenti che di loro arrivavano però a stento ad avvolgere la parte superiore cosce.
Non so come ma fui sorpreso nel vedere il taglio delle labbra socchiuso in quella una congiunzione illibata dall'ultima volta (ormai settimane) che fummo insieme.
"Cosa aspetti?" sussurrò. Poi avvertendomi di non toccarla, rimase in posizione di attesa con le braccia incrociate e la fica oscenamente esposta.
Meccanicamente portai la mano sinistra sul membro per iniziare un meschino spettacolo di autoerotismo. Agli inizi non fu facile a causa della porta lasciata socchiusa che lasciava interferire gli echi di persone nel corridoio in tratti così nitidi quasi fossero in stanza. I vicini rincasavano con tutta la famiglia e io mi masturbavo davanti a mia moglie. Mi resi conto in quel momento di aver perduto qualsiasi genere di autorità non solo al suo cospetto ma anche di fronte ad altri uomini e pur sconosciuti.
"Vuoi vedere come si sarebbe potuto masturbare il cameriere che prima ti guardava dalla scala?" le suggerii arrendendomi con la voce bassa per non farmi sentire da fuori. Posso dire che non stavo più in me, sentendomi com'ero alla stregua di uno qualsiasi dei guardoni del ristorante.
L'eccitazione prese a montarmi vedendola sorridere complice. In bocca venivo assalito da una salivazione con il tempo sempre più nervosa. Mi guardai addosso abbassando lo sguardo. Come un ragazzo, mi stavo dando piacere ad un ritmo frenetico e man mano più difficile da mantenere senza il rischio di arrivare alla fine senza nemmeno averla baciata. Trovai lo sguardo di lei che osservava la mia mano vigliacca muoversi sulla cresta della mia eccitazione solitaria, lei così libera di pensare a qualsiasi cosa che persino fosse assente e lontana. Poco alla volta mi sentii sudare sotto le ascelle.
Avvertendo da quella distanza i profumi femminili di lavanda intima salirmi dal suo inguine alla testa, domandai allo strenuo della resistenza di ricevere in cambio di quella sciagurata esibizione almeno una carezza proibita che alleviasse il mio senso di alienazione per quel sesso da impotenti. L'ulteriore diniego che dovetti incassare non mi fece desistere dall'implorarla per venirle almeno addosso.
Mai prima d'allora avrei pensato di arrivare a tanto, in una camera d'albergo davanti alla mia donna, e in silenzio per la paura dei vicini.
Per frenare i primi sintomi di contrazioni orgasmiche che ormai facevano capolino sull'asta esasperata dalla sega, cominciai a ritrarre - ultimo tentativo - un poco all'indietro il bacino. Speravo che da un momento all'altro Carla cambiasse idea chiedendomi di penetrarla anche se solo per poche spinte. Neppure un finto segno di cedimento le mutò l'espressione beffarda del viso, malgrado le gocce di sudore mi segnassero la fronte. Di lì a poco sarei venuto e lei mi avrebbe lasciato finire senza dire nulla?
In breve fui costretto ad arrendermi sentendo senza scampo avanzare l'orgasmo ad opera esclusiva della mia mano sudicia. I primi fiotti uscirono di slancio come bambini in corsa verso una madre per cadere invece poco oltre per terra vicino agli staffili torniti dei suoi tacchi. Il restante colò sul tronco e tra i peli dei testicoli, scapigliati dalla sega.
Ora che mi ero privato di tutto avrei potuto qualsiasi cosa, ad esempio andarmene?
Come per farsi perdonare lei porse dal comodino un fazzoletto di carta che mi servisse a ripulire le tremule chiazze di sperma. Soltanto allora, una volta alzati, Carla mi abbracciò fortemente spingendosi a stretto contatto su di me con il suo bacino ancora nudo. Ma sotto quella spinta forte e diretta da cui venne sopraffatto il mio pene, fui costretto per effetto del suo tono scarso e a penzoloni, a limitarmi ad un superficiale sfregamento sulle pur tenere labbra, come ad un semplice contatto saffico.
mercoledì 19 novembre 2008
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